Houndstooth – Ride Out The Dark

Io + Houndstooth = Anime gemelle

Ci sono dischi e dischi, quelli che mi piacciono e quelli che non sfango, quelli che ascolto una volta e poi basta e quelli che mi provocano un ascolto compulsivo, quelli che tengo da anni sull’ipod e quelli che non ci stanno ma che vorrei tenere sull’ipod, ci sono dischi stagionali e quelli umorali, si sono i dischi da macchina e quelli da cuffie infine ci sono i dischi che mi si impiantano dentro e sono quelli che preferisco. Il loro funzionamento è simile a quello di un pacemaker, regolano l’afflusso del sangue e fanno battere il cuore assecondando l’intensità delle canzoni, sono quelli che entrano direttamente dalla pancia e soprattutto sono quasi sempre quelli che meno mi aspetterei che lo facessero… bene,  Ride Out The Dark è uno di quelli. Nella mia vita mi è capitato raramente di conoscere una persona e sentire come se la conoscessi da sempre (le volte si contano sulle dita di una mano), con i dischi mi è capitato un po’ più spesso… questo è uno di quei casi. Cosa hanno in più Houndstooth? francamente non lo so e altrettanto francamente non mi interessa indagare, so solo che provocano dentro di me un moto di familiarietà, una corrispondenza di un legame inconscio a qualcosa che sapevo esistere da qualche parte e che ora o trovato, insomma una risposta ad una richiesta subliminale. Entrando nel merito, ci sono due brani che sopra tutti gli altri mi fanno aumentare le pulsazioni: Baltimore e You Won’t See Me, le restanti 8 mi fanno cadere in uno stato tra il catatonico e l’ipnotico, non hanno nulla di straordinario ma nello stesso tempo non riesco a staccarmi da loro, sono come 8 cerotti applicati su altrettante ferite che restano lì a coprirle a prescindere dal fatto che si siano abbondantemente rimarginate. C’è la chitarra di Thunder Runner che mi rimbalza dentro come un mantra; il mid tempo di Baltimore che mi suscita ad ogni ascolto un sorrisino idiota; il lento incedere di Canary Island che mi lascia come un’equilibrista sulla sua corda in balia del suo ondeggìo con quella sequenza di quattro accordi e la tastiera e la steel ad aiutarmi a mantenere l’equilibrio; la melodia di Bee Keeper che ogni tanto spalanca le sue porte per lasciare filtrare la luce nella penombra che riesce a creare intorno a me; l’apatia contagiosa di Strangers con il suo sbilenco assolo; poi c’è la luce fioca e tremolante di New Illusion che mi attira a sè come una falena attirata da una lampadina; Wheel On Fire è inesorabilmente accattivante, mi ammicca e mi sorride e io cedo irreversibilmente alle sue lusinghe; i 4.51 minuti di Francis potrebbero essere 4 secondi come 4 ore si avvolge e riavvolge su se stessa senza lasciarmi una via d’uscita; la lentezza di Don’t I Know You è quasi irritante…eppure…, infine You Won’t See Me… il capolavoro del disco, è tutto quello che penso, che sento e che provo, in questo momento sono tutto dentro questa canzone, la adoro.
La voce sembra provenire da un’altra dimensione, da un’altra epoca, le costruzioni sonore richiamano il pop, il paisley underground… ci ritrovo i Velvet Underground insieme ai Belle and Sebastian e i Jesus and Mary Chain le atmosfere sono già sentite, sono cose già vissute eppure è più forte di me, è come se un magnete mi attirasse inesorabilmente verso queste 10 tracce ed ogni volta che tento di staccarmi da loro è li pronto ad aumentare il suo campo magnetico. Sono canzoni semplici, a volte sussurrate, sostenute da hammond, chitarra ed un basso e una batteria coi quali le pulsazioni entrano in simbiosi. La domanda che mi sono autoformulato all’inizio, alla fine di questa sommaria analisi rimane inevasa… cosa abbiano in più gli Houndstooth non lo so, forse niente… fatto sta che questo disco mi piace da morire.