Rosa Parks

L’1 dicembre 1955 come tutti i giorni, alla fine del suo turno di lavoro in un grande magazzino di Montgomery in Alabama, Rosa Parks sale sul solito autobus per tornare a casa. Si siede in un posto libero nella fila centrale, ma quando tre fermate dopo sale un passeggero di pelle bianca, il conducente le dice che deve lasciargli il posto. Le regole sono chiare: i posti centrali sono liberi ma la precedenza spetta sempre ai bianchi e Rosa Parks la pelle l’aveva nera!

Rosa Parks non ce la faceva più, non era stanca per il suo lavoro da sarta, era stanca di subire le ingiustizie che lei e la sua gente erano costretti a sopportare tutti i giorni in ogni luogo. Allora disse NO, un semplice monosillabo che fu però più potente di una esplosione atomica e che riuscì ad innescare una reazione a catena in tutti gli stati del sud. Incominciò così il boicottaggio degli autobus da parte degli afro americani che mise letteralmente in ginocchio l’azienda di trasporti che il 2 Dicembre si ritrovò improvvisamente con i mezzi vuoti. Martin Luther King e gli altri leader afro americani, sostennero il boicottaggio che si protrasse per più di un anno fino a quando, il 13 dicembre 1956, la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò anti-costituzionale la segregazione sui mezzi pubblici dell’Alabama. Un primo piccolo passo verso l’uguaglianza dei diritti civili per il rispetto dei quali la comunità afro americana, a distanza di 65 anni da quel NO, sta ancora oggi combattendo.

Josh Merritt – Reynolds Station

Josh Merritt è nato a Owensboro, Kentucky inizialmente, ancora quattordicenne, è stato coinvolto dal padre a suonare nella bluegrass band di famiglia, una passione che in lui non ha attecchito e solo dopo un po’ di tempo ha trovato la sua ispirazione in Jason Isbell, Todd Snider e John Anderson ed ha quindi, seguendo il loro esempio,  portato la sua musica a raccontare quello che era, così come solo un vero storyteller  riesce a fare al meglio. Josh ha fatto una lunga gavetta on the road aprendo i concerti di: Hank Williams Jr., Charlie Daniels Band, Colt Ford e tanti altri che gli hanno permesso, negli ultimi dieci anni, di farsi conoscere nel circuito musicale del sud. Nonostante abbia raggiunto i 30 anni, Reynolds Station è il suo primo album in studio, ma non è un disco qualunque, non una raccolta delle sue  migliori canzoni scritte negli ultimi 10 anni… Reynolds Station è un concept album, sentito e voluto, che racconta della piaga che infligge il Kentucky rurale, quella dell’abuso di anfetamine. Josh si mette a nudo in queste canzoni, per la maggior parte completamente autobiografiche. Ha perso sua madre in giovane età vittima delle anfetamine ed è stato cresciuto dai nonni in una fattoria nella comunità di Reynolds Station, sperimentando sulla sua stessa pelle la dipendenza dalla quale è uscito da un anno e mezzo. 

L’uso di metanfetamina è a partire dal 2000, è il più grosso problema delle aree rurali del Kentucky, in origine si produceva in casa, da poco ha fatto però la sua comparsa la Met 2.0, più forte, più economica e molto più abbondante della vecchia varietà casalinga, i piccoli spacciatori comprano metanfetamina in città più grandi come Cincinnati a circa $ 250 l’oncia e la vendono nel Kentucky rurale a $ 500.

Reynolds Station non è una lezione di vita ma è il racconto a cuore aperto della vita di Merritt, di come fosse circondato, nella maggior parte dei casi, da famiglie dipendenti da anfetamine e di come poter riuscire a fuggire da quella situazione. The high, che apre il disco, è una vera e propria testimonianza della dipendenza, della disperata ricerca di Sudafed (decongestionante nasale a base di feniletilammine e anfetamine) un “aiuto” per lasciarsi alle spalle la vita e la voglia di farla finita anche se solo per qualche istante. Racconta di disperazione, di disillusione e di pensieri di suicidio. Il disco suona meravigliosamente, le storie sono raccontate su melodie supportate da musicisti di esperienza come Robert Kerns (bassista di Sheryl Crow),  Shakey Fowles (batterista di Kid Rock) e Peter Keys (tastierista di Lynyrd Skynyrd). Un disco dove si alternano intense ballate acustiche (How Many Times, Reynolds Station) ad altre dalla grande spinta elettrica (Best of me, Run), troviamo spruzzate di rhythm and blues in Live With That, da riascoltare più volte la meravigliosa Tonya Jo (chitarra e fiddle) e l’intensa conclusiva mid-tempo Fly Away. Josh dimostra di avere un grande talento e di saper scrivere e comporre, 10 canzoni secche, dirette, ben arrangiate e prodotte da Shannon Lawson di Louisville, Kentucky, che arrivano tutte direttamente sotto pelle, sprigionando una immediata empatia grazie anche alla voce di Josh che sembra accarezzarti anche quando ti porta in territori pericolosi trasmettendo sempre sicurezza e speranza.

Merritt con questo disco spera proprio, e credo ci riesca meravigliosamente, di dare una testimonianza di speranza a quelle persone che stanno davvero cercando di uscire dalla dipendenza, un disco che è molto di più delle belle canzoni che vi sono racchiuse, un disco che racconta la pancia dell’America, quella che i media non ci raccontano, quella che forse neanche l’America stessa vuole mostrare. Quando ho ascoltato il disco mi sono commosso e continuo a farlo ogni volta, sia per la bellezza delle canzoni, sia per le storie che raccontano. Grazie a Josh Merritt che vive la musica come vorrei che davvero tutti la vivessimo.

Zephaniah OHora – Listening To The Music

Da quando Nashville è stata culturalmente legata ed associata all’industria di country music addirittura con l’appellativo di Music City è diventata meta di pellegrinaggio per chiunque nel mondo pensi di sfondare nel campo musicale. La cultura e la tradizione del sud è sicuramente la linfa per la country music ma Zephaniah OHora è la dimostrazione che non serve respirare quell’atmosfera o vivere a Nashville per fare Country Music. OHora è nativo del New Hampshire dove come tanti ha incominciato a suonare la chitarra in parrocchia durante le celebrazioni. Trasferitosi a New York all’età di 20 anni ha potuto dare sfogo alla sua passione per il Classic Country setacciando i negozi di dischi alla ricerca dei grandi classici del genere. Si esibiva Live e come DJ in un piccolo bar a Williamsburg senza ambire ad un futuro come musicista. La svolta della sua vita avvenne quando i proprietari del Bar dove lavorava ne comprarono un altro, lo Skinny Dennis (chiamato come il bassista di Guy Clark scomparso all’età di 28 anni),  per il quale svolgeva anche funzione di agente di prenotazione che diventò in poco tempo il punto di riferimento per il movimento musicale Country Newyorkese. Sette giorni su sette di spettacoli live hanno fatto crescere in lui la voglia e la passione di scrivere canzoni e pubblicare il primo disco. This Highway ha avuto un successo oltre ogni aspettativa, oltre 1.000.000 di streaming su Spotify e gli ha dato l’opportunità di aprire concerti di grandi nomi (Jim Lauderdale, Shooter Jennings…). Tutto questo un bel giorno lo ha portato ad incontrare sulla sua strada Neal Casal insieme al quale ha costituito un gruppo di musicisti con tanta storia ed esperienza alle spalle e dopo ore di registrazioni live nell’aprile del 2019 l’album era terminato, diventando purtroppo anche il testamento del talento di Neal Casal che nel mese di agosto successivo ci avrebbe lasciato. Così è nato Listening To The Music un incontro musicale tra il Backersfield Sound e l’urbanità di New York. Una Steel Guitar che traccia una linea ben precisa a partire dall’iniziale Heaven’s On the Way per portarci allo yodeling della conclusiva Time Won’t Take Its Time, il Twang che riempie il cuore, un sound che trae origine dagli anni 60, 12 canzoni che mi fanno stare bene che fanno aumentare il desiderio di essere riascoltate ancora e ancora nella morbosa ricerca di una pace ed una armonia interiore che mi è stata troppe volte portata via dagli avvenimenti che hanno colpito tutti, non solo me,  nell’ultimo anno. Il disco sembra voler raccontare di un periodo in cui tutto sembrava possibile, dove il futuro era una prospettiva allettante e non una speranza di uscirne meno malconci possibile. Listening To The Music ha il sapore delle cose genuine, di quelle fatte in casa, se ne percepiscono gli odori, i sapori, il calore, sono canzoni che mi fanno stare bene, protetto, al caldo, al sicuro, che mi danno la certezza che ascoltandole non mi possa accadere niente di male. Devo ringraziare Zephaniah OHora perché le sue canzoni mi danno conforto, già dal primo ascolto mi sono sentito accolto, abbracciato, capito, un disco fatto con amore, tanto amore per la musica Country e per le cose buone della vita. Non voglio parlare dei singoli brani, degli strumenti utilizzati, dei riferimenti del passato voglio solo dire che per apprezzare questo disco basta chiudere gli occhi, lasciare la musica scorrere dentro ed abbandonarsi totalmente alle parole ed alla melodia… e allora una inconsapevole ed illogica allegria e un benessere crescente vi avvolgerà magicamente. Meraviglioso!!!

Black Country

Nel 1920, conclusa la prima guerra mondiale, in U.S. il Jazz era la musica predominante, il mercato radiofonico, discografico e live era al 99% costituito da musica fatta da neri ed ascoltata ed apprezzata dai bianchi. Un paio di anni dopo incominciò a farsi largo nell’area a sud degli Appalachi un suono che univa le sonorità jazz e blues con il folk ed il bluegrass. Un genere musicale senza nome al quale venne affibbiato genericamente l’appellativo di “country music“, tradotto letteralmente: musica di paese perché rifletteva la vita semplice e gli usi, i costumi e le storie della gente del sud.

I primi accenni di questo melting pot di generi si trovano a partire dal 1922 nelle canzoni di Eck Robertson, Henry Gilliland e Fiddlin’ John Carson (soprannome datogli dal Governatore della Georgia dopo che John Carson vinse per 7 volte, tra il1914 e il 1922, il titolo di “Champion Fiddler of Georgia”). Ma è solo nel 1927 grazie a Jimmie Rodgers, soprannominato non a caso,”The Father of Country Music”, che si può parlare di nuovo movimento.

Il comune denominatore di tutti gli artisti che seguirono le orme di Jimmie Rodgers era il colore della pelle: rigorosamente bianca! Fino al 1966 la musica country rimase prerogativa dei bianchi mentre il jazz era di dominio afro-americano, in quell’anno però successe un fatto strano, un tale Charley Pride di carnagione molto scura, pubblicò “Snake Crawl at Night“. 

Dopo Pride (il cui cognome sembra davvero un manifesto) altri artisti afro-americani si sono approcciati con il genere country. Si parla di percentuali attorno all’1-2% ma tanto basta per aver dato vita ad un movimento di Black Country. 

Lil Nas X è diventato un pilastro delle classifiche di Billboard da quando ha pubblicato nel 2018 “Old Town Road” che vanta al momento 1 MILIARDO e 200 MILIONI di riproduzioni su Spotify senza contare i numerosi remix tra cui quello del 2019 con Billy Ray Cyrus.

Nella puntata di oggi, dedicata al Black Country, ascolteremo i pionieri che hanno permesso con il loro coraggio a Lil Nas X di conquistare un posto di rilievo all’interno di un genere che è, e resterà comunque culturalmente e tradizionalmente radicato nei vecchi ideali bianchi.

Jingle Bells

Questa sera aprirò la puntata dedicata al Thanksgiving Day con “Jingle Bells” non perché ci stiamo avvicinando clamorosamente al Natale, semplicemente perché “One Horse Open Sleigh” (questo è il suo titolo originale) non doveva essere una canzone di Natale, era semplicemente stata scritta da James Pierpont tra il 1850 ed il 1857 non si sa bene dove e neppure il perché. Forse Pierpont la scrisse seduto ad un tavolo di una birreria mentre guardava una gara di slitte, forse in una pensione nel centro di Boston o forse per abbracciare una storia più romantica, in una chiesa locale di Savannah, in Georgia, dove la gente insiste che Pierpont scrisse la canzone alla fine del 1857 prima di dirigere il primo canto di “Jingle Bells” in occasione del Giorno del Ringraziamento.

Nel testo della canzone non viene menzionato il Natale, il Ringraziamento o qualsiasi altra festa, del resto l’unica frase che si ripete più volte è quella “One Horse Open Sleigh” immagine associata alla slitta di Babbo Natale, sta di fatto che, dopo che Johnny Pell eseguì il brano il 15 settembre 1857 (anche qui, non si sa di preciso dove), con il passare degli anni, con l’aggiunta di campanelli e risate di Santa Claus è diventato un classico natalizio.

Chris Stapleton – Starting Over

Chris Stapleton potrebbe mettere in musica le istruzioni di un qualsiasi elettrodomestico e riuscire a farne poesia. A mio parere il vero ambasciatore della musica Country nel mondo, uno di quelli che è riuscito a conquistare il favore di una larghissima ed eterogenea fascia di pubblico. Per lui hanno costruito una pagina Wikipedia solo per elencare i premi ricevuti in soli 5 anni di carriera solista effettiva che è incominciata ufficialmente nel 2015 con l’uscita del suo primo album Traveller. Prima di allora è stato membro fondatore della band bluegrass The Steeldrivers ottenendo 2 nomination ai Grammy e vanta 170 canzoni scritte per altri… e che altri… Adele, Tim McGraw, Brad Paisley, Dierks Bentley, Vince Gill, Peter Frampton, Sheryl Crow, Kenny Chesney, George Strait e Luke Bryan… per citarne solo alcuni. Chris Stapleton è un genio dei nostri giorni, supportato da una voce incredibile e da una facilità di scrittura impressionante, non ne sbaglia una! Stapleton ha scritto o co-scritto 11 delle 14 canzoni di Starting Over (tre sono cover, due di Guy Clark, Worry B Gone e Old Friends, l’altra è Joy of My Life di John Fogerty). Il disco profuma di Country, Southern Rock, Outlaw e Honky-Tonk lasciando spazio a Ballads e mid-tempo songs che fanno di questo album un piccolo capolavoro. Chris offre a Nashville quella spontaneità e quella autenticità che molti cantanti arrivati a Music City sembrano aver lasciato nei loro piccoli paesi di provenienza, abbagliati dal luccichio del facile country/pop. Stapleton ha messo dentro di tutto, così come gli è venuto naturale fare alternando sapientemente la chitarra elettrica a quella acustica costruendo una setlist perfetta che non vacilla mai ma che anzi, continua ad aprire orizzonti sempre diversi e sempre più affascinanti. 

I riferimenti sono tanti, si trovano echi di The Band in Maggie’s Song, mentre Hillbilly Blood ricorda Steve Earle e in Arkansas se chiudiamo gli occhi possiamo immaginarlo accompagnato da Allman Brothers Band

Dopo il terzo ascolto consecutivo sono giunto alla conclusione che il nativo di Lexington, Ky abbia setacciato con la sua lunga barba gli ultimi 60 anni di musica e ne abbia fatto un estratto reinventandolo ed arricchendolo con le sue straordinarie visioni musicali ed una vocalità senza eguali.

Un disco a dir poco magico, una Hogwarts della musica Americana, quella vera, quella che Chris Stapleton è riuscito a traghettare, a reinventare e a rendere ancora più che mai viva nel Terzo Millennio. Siamo vicini ai CBMA (Country Bunker Music Awards) e questo rischia sul serio di essere il più bel disco del 2020.

D.B. Cooper

 

Quello di D.B. Cooper resta l’unico caso irrisolto di pirateria aerea nella storia degli Stati Uniti.

Negli anni ’50, in Belgio, Dan Cooper era un personaggio dei fumetti, un aviatore canadese, famoso per la sua abilità nell’usare il paracadute.

Un uomo di nome Dan Cooper il 24 novembre del 1971 (la vigilia del Thanksgiving Day, si presentò all’aeroporto di Portland comprando un biglietto di sola andata per Seattle.

Poco dopo il decollo Cooper diede un biglietto all’assistente di volo che lo ripose senza leggerlo, a quel punto le sussurrò nell’orecchio  “Miss, you’d better look at that note. I have a bomb.” A quel punto le mostrò il contenuto della valigetta che presentava otto cilindri rossi ed una batteria facendo richiesta di 200.000 dollari (l’equivalente odierno di 1.200.000 dollari), di 4 paracaduti e di una cisterna per il rifornimento all’aeroporto di Seattle. Pagò le consumazioni effettuate in volo restando calmo e cortese, una volta atterrato gli vennero consegnati i soldi ed i paracadute e l’arerò ripartì.

D.B. Cooper poco dopo si dissolse nell’aria gettandosi con un paracadute ed una valigetta contente 200.000 dollari da quel Boeing 727 sul quale si era imbarcato senza essere più visto.

L’FBI, nel 2017, ha smesso di cercarlo.

 

David Adam Byrnes – Neon Town

David ha lasciato la sua casa nell’Arkansas centrale nel 2008 all’età di 19 anni e si è trasferito a Nashville nel tentativo di sfondare nella Music City.  Firmò un contratto discografico con Better Angels, ma quando aveva pronti almeno 5 pezzi da hit il contratto è saltato. Libero dagli obblighi contrattuali ha  abbandonato lei canzoni in stile “bro country” richieste dalle esigenze di Nashville, ed è tornato al suo stile personale di honky tonk country e quando Aaron Watson gli disse che non avrebbe dovuto sprecare un altro minuto a Nashville e di andare immediatamente in Texas nel 2018, David si è trasferito nella Ft. Worth area.  Mentre era in testa alle Texas Charts, anche il rapporto con la Silverado Records iniziò a naufragare e nel febbraio del 2019, David si è ritrovato di nuovo in una battaglia legale e sarebbero passati 8 lunghi mesi prima che le radio del Texas vedessero il prossimo singolo. La stessa settimana in cui “I Can Give You One”. arriva al primo posto, la pandemia colpisce il mondo. Dopo mesi di chiusura, David ha deciso che lo spettacolo doveva continuare.”Neon Town”, la title track del nuovo album omonimo uscito il 2 ottobre è arrivato al #1 in poche settimane, incarna l’intera anima dell’albumDavid Adam Byrnes che finalmente si è guadagnato un posto di rilievo nel mondo della musica.

Jake Blocker – I Keep Forgetting

Jake Blocker è nato il 2 aprile 2004 e viene dal Texas centro-meridionale. Quando aveva otto anni suo nonno gli regalò una chitarra. A dieci anni è salito sul palco con Dale Watson e nonostante i suoi soli 16 anni la sua musica affonda le radici nella terra fertile coltivata da Hank Williams, Buck Owens e Buddy Holly.  La musica di I Keep Forgetting è perfetta, con violino e steel guitar ad accompagnare le canzoni di Jake che non inventa certamente nulla di nuovo ma propone una dose di sana e buona musica country.

Maple Run Band – Maple Run Band

I Maple Run Band sono del Vermont e sono genuini come lo stato da dove provengono e coniugano alla perfezione tradizione ed originalità. Le loro canzoni sono asciutte e vanno diritte alla meta. Il loro disco di debutto omonimo di Maple Run è stato pubblicato nell’agosto 2020. Il suono è guidato dalle armonie vocali di Trevor Crist (chitarra) e Nicole Valcour (batteria), accompagnate dal basso di John “Spence” Spencer e dalla languida chitarra di Bill Mullins. Il suono che si respira è pura americana, ed è un perfetto equilibrio di canzoni dove anche l’unica cover, “Engine Engine # 9” di Roger Miller, è fatta in Maple Run Band Style. Le canzoni sono tutte firmate da Trevor Crist nativo del Kansas, ma trapiantato nel Green Mountain State al confine col Canada.

L’ultima volta che ho pianto è stato il giorno in cui è morto Johnny Cash” così recita un verso dell’iniziale You’re Gonna Make Me Cry Again che pone l’asticella ad una considerevole altezza in fatto di composizione e strumentalità. Queen of Labrador City è country shuffle con una grande lap steel a sostenerne la melodia. Catch You Down the Lineè la classica country ballad in bilico tra The Band ed Uncle Tupelo. Keep on Truckin è tra le mie preferite, un omaggio spudorato agli anni 70 di quando il Country era ancora genuino e non contaminato dal pop. Monday Morning è una classica county-ballad composta e suonata a regola d’arte. Last of the West Kansas Cowboys richiama alla mente Neil Young, una canzone che denota un grande talento di songwriting. Borderline ha una chitarra elettrica che richiama il suono di Dukes anche se la voce di Trevor non è paragonabile al graffio di Steve Earle. Ma Bell è lenta e suadente un ricordo del cosmic country di Graham Parson. I fuochi d’artificio su Oklahoma City in Independence Day fanno insorgere reminescenze agli anni 80. Molto belli gli impasti vocali di Lost Bird sostenuta interamente da una chitarra  acustica ed il violino. You’ve Got a Warrant (Out on My Affection) chiude il disco ed è una languida ballata di quelle che si ascoltano nelle ballroom alla fine di ogni concerto che si rispetti.

Questo è un debutto davvero con i controfiocchi. Crist si è espresso sia in veste di cantautore che di perfetto frontman di una band che lo segue e lo asseconda in ogni sfumatura. Si tratta di sano country che a volte si dimentica che sapore abbia. Il Vermont non è certo il centro della musica dei due generi, ma ora von i Maple Run Band lo è diventato.