Mercoledì 30 Giugno 2021

The Stars Are Talkin’ – Geoffrey Miller
No Hummers in the Parking Lot – The Dusty Saddle Boys
Long Sermon – Gerry Guthrie
Tracks and Trains – Lou Reid
Low Down Dirty Man – Hearts Gone South
I Ain’t Drunk – Golden Promise
The Girls Next Door in Austin – Jake Penrod
You Ought’ve Been There (Johnny Run the Pews) – John Bowman
New Highway – Matt Prater
Hard to Keep a Good Man Down – John Wayne Schulz
Human Jukebox – Jarett McAlister

Colby Acuff – If I Were the Devil

Con il passare degli anni mi sono reso conto che non ho più bisogno di ricercare e sperimentare suoni e generi musicali, ho bisogno solo di certezze ed il country è una vera certezza come lo è per tanti giovani ragazzi che si affacciano sulla scena musicale, tutti quanti cresciuti ascoltando i classici del country in molti sono rimasti fedeli alle radici, altri che durante la ribellione adolescenziale hanno abbracciato il punk e l’hard rock, sono tornati a fare ciò che li faceva stare meglio. Colby Acuff appartiene alla prima categoria, è un country boy cresciuto a Coeur d’Alene Idaho e rimasto fedele alle proprie radici.

Il suo primo concerto è stato alla tenera età di 11 anni, dopo aver militato in molte band locali e frequentato il college, ora cerca di più. Dopo aver scritto più di 30 canzoni, ha deciso che era ora di pubblicare un album e organizzare un tour. Nel 2020 Acuff ha pubblicato il suo primo disco Life of a Rolling Stone, aveva un tour con tante date programmate, purtroppo però a causa della pandemia, non gli è stato possibile promuoverlo. Era il suo primo album, aveva tanta voglia ed energia per far conoscere a tutti le sue storie e la sua musica ma Acuff ha dovuto rinunciare a tutto. Non si è però perso d’animo ed inmenchenonsidica è uscito di getto nel 2021 con un disco nuovo di zecca If I Were the Devil.

Un disco di una bellezza ammaliante dove si può apprezzare la facilità compositiva, l’uso della strumentazione classica, l’amore per i classici con una visione attuale della musica country. 10 canzoni meravigliose, la Title Track è una classica ballad impreziosita da un sound attualissimo. L’atmosfera è quella prettamente acustica, diretta, senza fronzoli e post-produzioni che si respira in Two to Tango. When I See You Again è essenziale, la voce roca quanto basta sostenuta da chitarra acustica, double bass e steel guitar. Dying Breed è una delle canzoni più belle del 2021 un mid-tempo che rimane in testa ed invita ad essere messa in loop. In Who Keeps the World Turning sono la chitarra ed il mandolino a dettare un ritmo serrato sfiorando il bluegrass. Dear Country Music è un inno, una dichiarazione d’amore per quella musica che emoziona, che fa stare bene, dalla quale ci si sente accolti, capiti e coccolati. Start in the Morning è un up-tempo travolgente che riporta la mente ad altri tempi. Tip Jar è ancora una ballad acustica ed essenziale nella quale ad emergere è la bella ed evocativa voce di Colby e il suo grande talento compositivo. Great Day to Be Free è una classic song giocata su chitarre e mandolino. Il disco chiude con Yodel My Way Home, chitarra e voce, una firecamp song, nostalgica e sognante.

Apprezzo tutte le scelte fatte da Acuff, una batteria discreta che lascia ampio spazio agli strumenti a corda ed alla sua fantastica voce. Uno tra i 3 dischi più belli usciti in questi primi 4 mesi. Dopo aver ascoltato If I Were the Devil non si può che essere ancora più innamorati del country.

Leo Fender (10 agosto 1909 – 21 marzo 1991)

Oggi ricordiamo i 30 anni della dipartita da questa terra di Leo Fender, un uomo che ha cambiato il modo di fare musica! Leo Fender non era un musicista e neppure un ingegnere ma era semplicemente uno che ascoltava i bisogni delle persone e ne accontentava le richieste. Durante la grande depressione fu licenziato dal suo lavoro di contabile, aprì così un piccolo laboratorio dove riparava radio e affittava piccoli impianti di amplificazione. Ben presto, poiché il periodo del dopo guerra non consentiva di reperire pezzi di ricambio ufficiali, molti musicisti incominciarono a portargli amplificatori da riparare. Parlando con essi Leo Fender capì che il più grosso problema dei chitarristi elettrici era il fattore risonanza che le chitarre amplificate con cassa armonica presentavano continuamente. Dopo averci pensato un po’ su il nostro nel 1950 fabbricò la prima chitarra in serie solid body della storia della musica e la chiamò Broadcaster, nome contestatogli dalla concorrente Gretsch che trasformò in Telecaster in onore proprio della televisione che stava prendendo piede in quel periodo. La Telecaster aveva la meccanica su un solo lato della paletta permettendo alle corde di essere perfettamente parallele al manico, due pick-up ed un selettore a 3 posizioni, era tutto quello che bastava ai chitarristi country per produrre quello che sarebbe diventato il marchio di fabbrica del genere… il TWANG, termine onomatopeico utilizzato per simulare il suono della corda di un arco tesa e poi rilasciata. Sembrò proprio che la fender Telecaster fosse la chitarra più adatta a questa esigenza e piano piano incominciò a soppiantare le Gretsch. L’anno successivo Leo mise sotto forma di Solid Body anche il contrabbasso nel Fender Precision Bass, facilmente trasportabile, leggero, totalmente amplificabile e, grazie ai capotasti presenti sul manico, più preciso del double bass classico. L’innovazone di Leo fender trovò il suo definitivo compimento con l’evoluzione della Telecaster arrivata nel 1954, aveva 3 pick up diverse disposizioni sia per per il selettore e i potenziometri, dell’alloggiamento del jack e soprattutto della leva del vibrato: la chiamò Stratocaster. In queste 3 creazioni di Leo Fender c’è l’iconografia del 90% della musica Country, Rock e Pop. Merle Haggard che introdusse il mondo al Twang con la sua telecaster, Jimi Hendrix e la sua Stratocaster suonata al contrario e Donald “Duck” Dunn con il suo Fender Precision Bass. 

Marvin “Popcorn” Sutton

Il Moonshine è un liquore altamente alcolico prodotto clandestinamente attraverso un processo di distillazione di mais, segale, malto d’orzo e altri cereali, arricchito con spezie, frutta, cortecce, zucchero a seconda delle ricette segrete e personali tramandate da generazioni. Prende questo nome perché, vista la sua più assoluta illegalità, lo si è da sempre prodotto di notte nascosti nella fitta vegetazione dei monti Appalachi al chiaro di luna. Il soprannome di “Mountain Dew” (Rugiada di montagna) veniva usato durante il proibizionismo, in modo che le forze dell’ordine non sapessero che si riferisse all’alcol illegale. Il processo di distillazione arriva dall’Europa e leggenda vuole che Washington, durante la Guerra di Indipendenza, lo facesse produrre e distribuire ai soldati dell’esercito per riscaldarli dal grande freddo.

La vittoria della guerra portò l’indipendenza delle colonie ma con questa anche il bisogno di sostenere il “piccolo stato” appena nato,  a sostegno dell’economia, furono introdotte fin da subito alcune tasse tra cui una sui liquori e distillati. In quel periodo, produrre e vendere alcolici era per gli agricoltori un modo per aggiungere un piccolo reddito supplementare in periodi di scarsi raccolti o per arrotondare i guadagni. Gli agenti federali incaricati alla riscossione delle tasse erano detti “Revenuers”, odiati a tal punto da venire quasi sempre malmenati e successivamente incatramati e impiumati!

Il periodo d’oro per i moonshiners fu dal 1920, quando fu varata la legge sul “Proibizionismo” che vietava sia la vendita che e il consumo di alcolici in tutti gli stati, fino alla sua abrogazione nel 1933.

Sui monti Appalachi tra Virgina, Nord Carolina, Tennessee e Kentucky non si è mai smesso di produrre Moonshine e dalle bettole più malfamate, ai club più lussuosi e si narra che perfino alla casa bianca, durante questi 13 anni, non mancasse mai il moonshine.

C’è un romanticismo, una poesia, una propensione ad essere un fuorilegge che anche l’uomo più rispettoso della legge abbraccia quando si tratta di produrre l’originale Moonshine.

La tradizione dei moonshiners è tutt’oggi ancora viva. Ci sono molte distillerie legali che producono moonshine nel rispetto delle ricette originali ma quel gusto di trasgressione e di illegalità fa preferire il moonshine nelle classiche Jar  alle bottiglie etichettate poste in bella vista sugli scaffali.

È stata questa tradizione che ha permesso a Marvin “Popcorn” Sutton di diventare un MITO.

Popcorn era una leggenda del moonshine, il suo nickname sembra che se lo sia guadagnato combattendo con un distributore automatico di popcorn che ha malmenato con una stecca da biliardo! Nato a Maggie Valley, in North Carolina, nel 1946 ha trascorso la maggior parte della sua vita tra le montagne del Tennessee e il suo negozio da rigattiere. I suoi genitori, Bonnie e Vader, erano gente di montagna che lavorava sodo. Vivevano in una casa di legno accanto a un ruscello. Erano una famiglia felice. Bonnie suonava il fiddle mentre Vader suonava i cucchiai. Popcorn e sua sorella adoravano ballare. Portava una lunga barba incolta, un cappellaccio malconcio decorato con piume e ossa e l’immancabile Overalls! Sembrava la perfetta caricatura dell’Hilbilly, di Dinamite Bla… ma lui era così perché era vero e (per usare il suo intercalare preferito) dannatamente genuino!

Il periodo d’oro del moonshine era finito, si potevano fare tranquillamente più soldi coltivando la marijuana, ma Popcorn considerava il moonshine una missione, una sua eredità e proseguì quindi l’attività di famiglia. A partire dal 1974, è stato arrestato varie volte ma ha continuato la produzione fino al 2009 quando fu catturato con centinaia di galloni di alcol illegale e una calibro 38, e condannato a 18 mesi di carcere.

Sono combattuto se giudicare Popcorn un delinquente o un eroe, ci sono esempi nella storia dove questa distinzione è molto sottile, alla fine credo che Popcorn sia figlio della sua terra, del suo retaggio e delle sue tradizioni. Tutta la vita ha lavorato facendo quello che sapeva fare meglio perché questo è quello che gli avevano insegnato. Popcorn è stato uno tra gli ultimi personaggi romantici della storia degli stati uniti un eroe, o meglio un “antieroe” Sutton non sarebbe mai andato in prigione per scontare i 18 mesi a cui era stato condannato. Così il 16 Marzo del 2009, all’età di 62 anni, dopo che gli avevano diagnosticato un cancro, si è chiuso in macchina e si è suicidato per avvelenamento da monossido di carbonio, libero fino in fondo!!!.

“Jesus turned the water into wine, I turned it into likker.” (Marvin Popcorn Sutton)

Geoffrey Miller – All Night Honky Tonk Man

Miller ha incominciato a muovere i primi passi negli anni ’90 durante l’esplosione del grunge, portando la sua Fender Telecaster al servizio di band che hanno formato il suo suono nel corso degli anni, la fiamma dell’honky tonk che si era accesa in lui da bambino era sempre vivida e nel 2005, Miller ha trovato l’ossigeno per alimentarla quando ha incontrato Hank Falconer (un crooner di night club honky tonk di lunga esperienza).

La sua musica è dunque la perfetta fusione di country, honky tonk, western swing e rockabilly. All Night Honky Tonk Man è la riscoperta di un patrimonio musicale mai davvero perduto che ritrova il suo pieno splendore nelle 12 canzoni originali dell’album. La copertina sembra uscita direttamente dagli anni ’50 e non lascia dubbi sulla musica contenuta all’interno. Il disco racconta le visioni di un bimbo di 6 anni cresciuto ascoltando alla radio country AM, Waylon Jennings, Willie Nelson e Hank Jr., guardando Hee Haw alla TV del pomeriggio e che strimpellava su chitarre giocattolo le canzoni di Merle Haggard. Gli anni ’50 sono stati a tutti gli effetti un’epoca felice, la guerra era finita e si doveva ricominciare a ricostruire, si aveva voglia di ballare ma senza dimenticare quanto di brutto era successo pochi anni prima. Il disco è stato registrato durante il lookdown e in alcune canzoni porta i segni e le ferite di questo difficile periodo ma anche se non siamo fuori dalla pandemia, porta nelle canzoni quello stesso messaggio di speranza presente nelle canzoni degli anni ’50, anche noi dovremo ricominciare a costruire sulle macerie, questa volta morali ed economiche ma pur sempre ricostruire. Trovo molte analogie tra i due periodi e ascoltare queste canzoni mi lascia un misto di sensazioni di speranza, di nostalgia e di voglia di ritornare a vivere.

The first thing I wrote about you è il primo brano, un rockabilly uscito da una radio o un jukebox di una puntata di Happy Days. Is Not The Fallin richiama un classico boogie woogie, Honky Tonk Sin col suo fiddle ed il twang della telecaster ci fa respirare boccate di Backersfield Sound. La languida  Neon Stars è una grande ballad mentre I Never Missed You è una tipica western song. The Stars Are Talkin’ è puro swing, Haunted Home ci fa conoscere Miller in veste di Crooner per una grande seconda ballad del disco. Heartache Continental è un Ol’ Boppin’ Style diretto discendente dell’Hillbilly Swing. Ancora Western swing in Race With Time con un grande intreccio di pedal steel e Twang. Couldn’t Think Outside the JukeBox ha tutti gli ingredienti per una grande country song e ripropone ancora fiddle e Bakersfield sounds. If the World Ever Starts Again è un titolo appropriato che riassume appieno lo spirito del disco… se il mondo dovesse mai ricominciare vorrei che fosse come raccontato in queste canzoni. Il disco chiude con la title track come era iniziato tra rockabilly e honkytonk.

Direi che oltre ad essere suonato e cantato benissimo, il disco è un omaggio a tutti i generi musicali preferiti da Miller ma anche da tutti noi, un salto nel passato ma anche nel futuro. All Night Honky Tonk Man è un disco che fa stare bene, che fa ballare, che fa pensare, che fa divertire e che ci porta a sperare che il mondo possa davvero ricominciare.

Creed Fisher – How Country Music Sounded Before It All Went to Shit, vol. 1

La folgorazione per Creed Fisher non è arrivata sulla strada di Damasco ma sotto un palco a Waco, TX quando a soli 4 anni ha assistito ad un concerto di George Strait. Questo avvenimento, unito a ripetuti ascolti di Marty Robbins, Merle Haggard, Don Williams e Hank Williams, ha contribuito a far si che a soli 9 anni, Creed scrivesse la sua prima canzone. Il dolore e la sofferenza sono fonte di ispirazione che il nostro ha incominciato a mettere in musica dopo che il suo matrimonio è finito. Fisher come ogni cantante di country music, canta della vita, del proprio vissuto sia nel bene che nel male e mette tutto dentro il suoi dischi, questo fa di lui un onesto e vero cantante orgoglioso di essere un redneck, (come recita il titolo del suo album del 2016 “Rednecks Like Us”). La sua musica è saldamente radicata nel country tradizionale, nell’outlaw, nell’honkytonk e nel southern rock. Creed è uno dei più prolifici cantanti sul mercato, è un artista indipendente, come lo sono il 90% dei musicisti texani, solo nel 2020 ha pubblicato 4 album: Outlaw influence vol. 1 (dove racconta le sue origini musicali), Hellraiser, The Wild Ones e Rock &Roll Man) a cui fanno seguito Go Out Like Hank e How Country Music Sounded Before It All Went to Shit, vol. 1 (che come dice il titolo stesso riporta il Country dove deve stare) usciti nei primi 2 mesi del 2021. Col passare del tempo la sua scrittura si è perfezionata e nei suoi 10 anni scarsi di carriera è diventato uno dei più importanti e seguiti cantanti di country music. La sua facilità di scrittura è impressionante ed è incredibile come riesca ad avvolgerti di suoni e di emozioni fin dalla prima nota di ogni suo album grazie alla sua voce, ai suoi testi e a quanto dannatamente bene suonino tutti i suoi dischi! A vederlo rispecchia lo stereotipo del classico Oultaw, cappello calato sugli occhi, barba lunga, la stracca per chitarra che sembra una cartucciera e le braccia tatuate, ma all’interno delle sue canzoni c’è un uomo semplice legato alle cose belle della vita, quelle che contano davvero, c’è sofferenza, gioco, e soprattutto c’è tutto se stesso. Non voglio parlare di un disco in particolare ma di una filosofia di vita che lo vuole un cantante indipendente, senza un’etichetta alle spalle che riempie i locali e scala le classifiche.

Non amare la country music dopo avere ascoltato How Country Music Sounded Before It All Went to Shit, vol. 1 sarebbe un peccato mortale!!! La musica di Creed travolge e coinvolge, in una perfetta alternanza di Honkytonk songs e di ballads, sia acustiche che elettriche, racconta storie e descrive paesaggi e situazioni che ogni disco dei due generi dovrebbe contenere, un manuale di come la musica country dovrebbe essere interpretata, canzoni giuste, melodie perfette ed uno straordinario uso degli strumenti.  12 canzoni da imparare a memoria e da portarsi in tasca per ascoltarle in qualsiasi momento della giornata perché sapranno dare una risposta a tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Una musica che diventa amica nella malinconia e nella spensieratezza, una musica che se la accogli sarà amica per la vita!

Creed è uno di noi, racconta di sé ma facendolo racconta di noi e nella sua musica c’è tutto quello che abbiamo amato e che continueremo ad amare. Che Dio benedica Creed Fisher… e benedica la Country Music!

Mike Randall – Bakersfield, TX

Mike Randall è figlio di un predicatore battista, cresciuto nei pressi di Dallas nel North Texas, in una famiglia dove si respirava musica e dove fin da piccolo, ha cantato gospel nelle chiese di tutto il paese. La vita purtroppo, molte volte, ci pone di fronte alle difficoltà. Mike era destinato a seguire le orme del padre e a trascorrere il resto della sua carriera musicale in chiesa come pastore di culto. Dopo un non facile divorzio, la sua passione per il gospel e il dolore che provava, hanno trovato rifugio nella Country Music. Mike Randall insieme ai The High Road è partito con una manciata di canzoni e le sue storia da raccontare  a portarle in giro per tutti gli States totalizzato, in pochi anni, quasi 500 date. Così dopo miglia e miglia è arrivato il suo primo disco, Bakersfield, TX, che atro non è che la storia di Mike messa in musica. L’album è stato registrato all’Acoustic Kitchen a Dallas, lo studio che è stato realizzato dalla leggenda della Country Music Charley Pride e ora gestito da Milo, Rachel, and Scarlett Deering. Bakersfield, TX è stata costruita nel 1929 durante l’oil boom, nel 1930 vantava una popolazione di 1000 abitanti ma subito dopo il crollo della borsa, la città  è stata abbandonata di colpo e ora, con una popolazione di circa 30 abitanti è una delle tante ghost town della provincia americana. Trovo un forte legame tra Bakersfield, CA (dove è nato il suono country degli anni 50, quello del classico twang) e Bakersfield, TX dove invece trova collocazione l’honkytonk che riempie i solchi di questo disco. La malinconia, l’abbandono, la desolazione, la solitudine sono temi della country music che Mike fa suoi raccontando di lui. Il disco suona benissimo con il twang della telecaster e la steel guitar a tracciarne le linee, la voce di Mike è quella giusta, quella di un amico che racconta storie e non ti annoia mai riuscendo a tenere alta la tensione ed incollandoti all’ascolto dall’inizio alla fine facendo crescere la curiosità canzone dopo canzone. Bakersfield, TX è un viaggio dell’anima che inizia con una tragica rottura Heartache a cui fa immediatamente seguito una presa di coscienza con After Heartache un momento che si consuma tradizionalmente in un honkytonk bar col fiddle a fare da narratore. Il disco si sviluppa intorno a ballad, mid-tempo, oldtime, honkytonk in una perfetta alternanza di suoni, strumenti ed ambientazioni per concludersi con l’evocativa e struggente title track. Un disco di pura Country Music che racconta la vita, che emoziona che porta il rapporto tra musicista ed ascoltatore su di un piano intimo, 12 canzoni che riescono ad arrivare al fondo dell’anima e dalle quali sono stato personalmente toccato, coinvolto ed emozionato. Un disco che commuove e mi rende sempre più convinto che, se il mondo ascoltasse più Country Music le cose andrebbero sempre più per il verso giusto. Grazie Mike, con tutto il cuore.

Alecia Nugent – The Old Side of Town

The Old Side of Town, è il nuovo disco di Alecia Nugent dopo 11 anni di silenzio. Tra il 2004 e il 2009 aveva pubblicato tre album si bluegrass per la Rounder Records, ma ha rinunciato ad una promettente ed avviata carriera per dedicarsi, dopo il divorzio, a fare la mamma a tempo pieno. All’epoca vantava già 71 apparizioni sul palco del Grand Ole Opry ed era additata come una stella nascente del bluegrass.

Alecia, nata a Hickory Grove, in Louisiana, ha respirato fin da bambina la musica country e bluegrass grazie soprattutto a suo padre Jimmy Nugent, che aveva un gruppo bluegrass la Southland Bluegrass Band. A casa Nugent la sera, la famiglia si riuniva intorno al pianoforte a cantare canzoni gospel del sud e bluegrass.

The Old Side of Town, sulla cui copertina stringe in mano un disco di Don Williams, è registrato a Nashville con alcuni dei migliori musicisti di studio (il fiddler Stuart Duncan, il chitarrista Brent Mason e Paul Franklin alla steel guitar), è un disco di puro classic country ispirato agli anni ’80/’90 che si allontana dalle precedenti produzioni di Alecia che in questi 10 anni ha mantenuto immutata la sua voce, una voce capace di emozionare e di cantare della vita perché, nel rispetto dei temi classici, le canzoni del disco traggono ispirazione dalla vita reale. 

The Old Side of Town è una classica ballad, un omaggio a Tom T. Hall e a sua moglie Dixie, che ha offerto alla Nugent un lavoro come donna delle pulizie a Nashville per potersi mantenere quando si è trasferita per la prima volta in città e per permetterle di inseguire il suo sogno.

I Might Have One Too, di Erin Enderlin e Larry Cordle, racconta la storia di un marito che confessa i suoi peccati.

They Don’t Make ‘em Like My Daddy Anymore è una toccante ballad dedicata a suo padre che non potrà più avere accanto nello studio di registrazione.

Way Too Young for Wings è dedicata a tutti quelli che hanno perso troppo presto qualcuno nella propria vita, le è stata ispirata dal tragico incidente che ha tolto la vita al fidanzato di sua figlia a soli 21 anni.

Tell Fort Worth I Said Hello  è una perfetta country song con fiddle, steel guitar e pianoforte di quelle che si possono ascoltare in un honkytonk bar.

The Other Woman di Brandy Clark con protagonista il piano, parla di una donna che racconta una storia d’amore fatta di promesse infrante.

Too Bad You’re No Good è l’unica canzone nella quale riecheggia l’anima bluegrass di Alecia dove il mandolino ha sicuramente il suo peso.

Sad Song è una canzone straziante che racconta di una donna che ha trovato il coraggio di troncare una relazione oppressiva.

I Thought He’d Never Leave che chiude il disco è un classico con il piano che apre la strada alle galoppate di fiddle e steel guitar.

The Old Side Of Town è un album di classic country, di quello che le radio di Nashville snobbano ed é uno dei migliori album del 2020. Alcune canzoni strazianti, altre venate da un sottile umorismo ma in tutte si avverte sempre un senso di realismo. I suoi sono racconti di vita vera, che entrano nell’anima e vanno dritti al cuore.

David Miner – Silver Valley

Non mi è ben chiaro il motivo, forse è l’età, forse è per aver ascoltato, acquistato e trasmesso tanta di quella musica dei generi più disparati che sono arrivato al punto di avere la nausea di molte cose e di tanti artisti e scoprire di essere in pace e felice solo ascoltando il classic country. La mia fortuna è che negli States, molti giovani artisti  provano le mie stesse sensazioni ed emozioni. Artisti che, dopo un passato in band di heavy metal, hard rock, classic rock e grunge hanno trovato consolazione nei classici del country e ne portano avanti la tradizione. o che, come David Miner, nato a Seattle (patria del grunge), si è appassionato da giovanissimo alla musica country classica. Le prime canzoni che ha imparato sono state quelle di Jerry Reed, Waylon Jennings e Willie Nelson assorbendo i temi dalle liriche di John Prine, Guy Clark e Billy Joe Shaver.

Lo stile di Miner è quello di dare una nuova interpretazione del sound classico. La musica country è una musica senza tempo che David ripropone nel più completo rispetto per i suoi eroi musicali calandola perfettamente nei nostri giorni. Le Rocky Mountains corrono a ovest quasi parallele alle Appalachian Mountains sulla costa est e da entrambe le catene montuose è nata e continua a vivere la musica che amo, quella country & western. Protagonisti assoluti dell’intero disco sono chitarra, fiddle e steel guitar impegnati in un reciproco inseguimento senza soluzione di continuità. Il disco si divide in classic country song e ballate prettamente chitarristiche. Silver Valley è un viaggio lungo le Montagne Rocciose e parte proprio dal profondo west con Dreaming of Montana dove i cieli sono i più blu e rappresenta la perfetta canzone western aprendo l’anima agli spazi incontaminati e alla semplicità della vita. All my Life è una ballad dove il fiddle e la steel guitar troneggiano. Time of Year è una meravigliosa classic ballad mid-tempo dedicata al Wyoming. Virginia Dale parla della cittadina del Colorado e delle leggende che si narrano nelle sue strade. Hanging Me in Abilene riporta la musica sulla frontiera della western music. Answering Machine è una old-time song che include tutti gli stilemi classici del country. Nella categoria guitar-ballad troviamo Silver Valley che ci porta in Idaho dove nel 1860 imperversava la corsa all’oro anche se alla fine, come si evince dal nome, il minerale più estratto risultò essere l’argento. Sycamore Trees è una splendida nostalgica fire-camp ballad che parla di ritorno a casa. Passing Cars è da pelle d’oca tanta è l’emozione che riesce a trasmettere. A Little More (Happy Now) e Pull Up a Chair hanno bisogno solo di una chitarra e di un semplice giro armonico per mettermi di buon umore e regalarmi un senso di pace infinita. Too Fast chiude il cerchio. Un disco emozionante e nostalgico, suonato come il country va suonato, con il cuore e l’anima e la voce di David risulta perfetta per il genere. 13 canzoni che fanno viaggiare lungo le Rocky Mountains dove è la tradizione a farla da padrona regalando valanghe di emozioni. Questa è la country music!

Victoria Bailey – Jesus, Red Wine e Patsy Cline

Victoria Bailey ha riassunto in questo titolo tutto ciò di cui abbiamo bisogno unendo suono honky tonk, Patsy Cline, Emmylou Harris, Loretta Lynn e Dolly Parton e trasportando lo spirito del Bakersfield sound della sua nativa California, nel 21 ° secolo grazie a canzoni fuori dagli schemi edulcorati della maggior parte delle cantanti contemporanee nel regno country.

Jesus, Red Wine e Patsy Cline che è uscito il 18 Settembre 2020 è Il suo primo album e contiene nove canzoni, otto originali e una cover. Racconta storie d’amore, di dolore e di viaggi all’inseguimento dei propri sogni, abbracciando le radici più profonde della cultura della musica country. Un disco da assaporare come un genuino moonshine fatto da chitarra, violino e pedal steel sullo sfondo dei paesaggi californiani.

Honky Tonk Woman, è stata la prima canzone scritta per il disco e rappresenta un manifesto programmatico dove ci racconta di come sogni di diventare la cantante country perfetta, in grado di essere la colonna sonora per tutti i momenti importanti della vita.

The Beginning è una canzone d’amore nato su una pista da ballo interamente costruita sull’intreccio di chitarra acustica, elettrica e pedal steel.

Ramblin ‘Man è una ballad adagiata su una languida steel guitar e racconta di sotterfugi e scorciatoie invece di intraprendere la strada dell’onestà.

Spent My Dime on White Wine, è impreziosita dal supporto di un coro gospel sostenuto da un piano Rhodes.

Homegrown Roots è un brano dedicato a Nashville che ammicca ai facili ritornelli tipici di Music City.

La cover è Tennessee per rendere omaggio a Johnny Cash reinterpretandola in perfetta linea con i suoi otto originali.

Outlaw riunisce il twang ed il western swing risultando un grazioso valzer sulle cui note scorre un’armonica a cucirne la melodia.

Skid Row è un chiaro omaggio all’ honky tonk grazie anche al classico pianoforte e al fiddle.

L’album si conclude con Travelin ‘Kind, un monito sulle difficoltà che si possono incontrare avendo una relazione con un musicista che trascorre la maggior parte del tempo in viaggio.

Victoria è stata sempre circondata dalla musica, suo padre era batterista di una rock ‘n’ roll band mentre sua madre ascoltava il folk di Cat Stevens e James Taylor. Dopo aver ottenuto la sua prima chitarra all’età di 12 anni, ha incominciato da subito a scrivere canzoni, un talento che da lì a pochi anni stupì così tanto suo padre che alla fine decise di chiamare i suoi tre migliori amici musicisti chiedendo loro di  unirsi a lui e diventare la band di supporto di sua figlia, incominciando ad esibirsi in giro per il Golden State. Suonando in honky tonks e bar ha incominciato piano piano a farsi le ossa imparando il mestiere della musicista country tradizionale. Trascorsi cinque o sei anni era pronta a trasporre la sua straordinaria propensione per i concerti live al debutto con un intero album.

Il country classico cattura e fa sentire le persone a proprio agio, questo disco mi fa sentire proprio così, a casa, al sicuro, a mio completo agio. Un disco splendido che le è valso la copertina di Country People Magazine di Febbraio 2021 e credo un posto nel cuore di tutti noi.