Scott MacKay – Stupid Cupid

Una cosa che apprezzo della cultura americana è il rispetto delle tradizioni di famiglia e di tutto ciò che gli è appartenuto, il preservarne i ricordi e farne tesoro. La musica country è lo specchio di questo, di come la tradizione musicale venga tramandata di generazione in generazione mantenendone immutato il valore. Scott MacKay è un giovane che è cresciuto col suono Twang delle Telecaster  e di tutto quello che proviene dalla musica country degli anni ’50 e ’60. Viene da Charlottetown in Canada e nelle 10 canzoni originali che compongono il suo terzo album Stupid Cupid, offre una versione fresca e moderna del country classico. Il suo amore per questa musica è sbocciato definitivamente una sera ad un open-mic al Cafe Koi di Calgary dove ha incontrato un artista di nome Carter Felker che lo ha invitato ad una jam session dove ha conosciuto John Prine, e il mondo di musica country gli si è spalancato dinnanzi.

MacKay affronta i temi classici della musica country quello giocoso, quello di amori finiti, quello di omicidi… raccontandoli sempre con una buona dose di umorismo nei testi lasciando comunque a una parte emozionale nelle canzoni dove si ride e si gioca ma dove ogni tanto si versa anche una lacrima. Per migliorare il suo stile, Scott ha seguito corsi di scrittura a Nashville ed anche il suo lavoro di insegnante elementare lo aiuta molto nel rendere freschi, moderni ed immediati i suoi testi. Un disco di country degli anni ’50 completamente immerso nel 2021 che fa esattamente ciò che un disco di musica country deve fare… farci stare bene!

The Day The Music Died

The Day the Music Died è la frase diventata iconica con cui viene ricordato un disastro aereo accaduto nello Iowa il 3 febbraio 1959 ricavata dai versi di una canzone scritta nel 1971, dal cantautore Don McLean, intitolata American Pie. McLean usò l’incidente come metafora per descrivere il trauma della perdita dell’innocenza della generazione che aveva assistito alla nascita del rock and roll.

In quel giorno persero la vita tre popolari musicisti, ancor giovani ma già icone del rock and roll: Buddy Holly di 22 anni, Ritchie Valens di 17 e Big Bopper Richardson di 28.

Il Winter Dance Party dell’inverno 1959 era un tour di più gruppi musicali e cantanti solisti che prevedeva una serie di 24 concerti in altrettante città del Midwest da tenersi nell’arco di tre settimane – dal 23 gennaio al 15 febbraio. 

Le date erano state scelte con poca logica, e il tragitto complessivo era sostanzialmente uno zig zag tra Wisconsin, Michigan e Iowa e subito dopo la partenza del tour si scoprì che il pullman scelto per il trasporto dei musicisti e delle attrezzature si rompeva spesso e aveva grossi problemi all’impianto di riscaldamento e viaggiando nel Midwest dove l’inverno è davvero freddo, il problema era serio!

La sera del 2 Febbraio arrivarono al Surf Ballroom di Clear Lake, nello Iowa, dopo aver viaggiato per oltre 500 chilometri per una data che non faceva parte del del tour ma era stata inserita solo per occupare una serata rimasta scoperta. Il giorno successivo avrebbero dovuto suonare in Minnesota, e quello ancora successivo sarebbero dovuti tornare in Iowa. Buddy Holly, che non ce la faceva più, organizzò un volo charter, per lui e i suoi musicisti Waylon Jennings e Tommy Allsup (che avevano sostituito per quel tour il suo gruppo, i Crikets con i quali aveva litigato), che li portasse a Fargo, in North Dakota, molto vicino alla città del Minnesota dove avrebbero dovuto suonare.

“Sai che stai per partire, sai che è una bugia, perché quello sarà il giorno in cui morirò”, cantava Buddy Holly nel suo brano “That’ll Be the Day”. Nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbe accaduto così presto.

Big Bopper, che aveva avuto nei giorni precedenti una fastidiosa forma influenzale e i geloni, chiese a Waylon Jennings, se poteva cedergli il posto sull’aereo e Jennings acconsentì senza problemi. 

Quando Holly seppe che Jennings non avrebbe preso l’aereo gli augurò scherzosamente di congelare sul vecchio bus e il musicista, altrettanto scherzosamente, augurò a Holly che il suo aereo potesse schiantarsi.

Le parole dette per scherzo da Jennings lo condizionarono per tutta la vita parole per le quali non ha mai saputo darsi pace.

Jennings e Allsup continuarono il tour per altre due settimane, con Jennings come cantante. Sono stati pagati meno della metà dello stipendio originale concordato e, al ritorno a New York, Jennings ha messo la chitarra e l’amplificatore di Holly in un armadietto al Grand Central Terminal e ha spedito le chiavi a Maria Elena Holly. Poi tornò a Lubbock.

Per decenni in seguito, Jennings ha ripetutamente affermato di sentirsi responsabile dell’incidente che ha ucciso Holly. Questo senso di colpa ha accelerato la fine dell’abuso di sostanze per gran parte della sua carriera.

Ritchie Valens non aveva mai volato in un aereo da turismo prima di allora anzi aveva paura perchè quando era piccolo due aerei si scontrarono sopra la sua scuola e 5 dei suoi compagni morirono,  colpiti dai frammenti degli aerei. Essendo afflitto da geloni, chiese a Tommy Allsup di cedergli il posto. Allsup propose che dovessero lanciare una moneta, il lancio fu effettuato da un disc jockey alla sala da ballo alla fine dello spettacolo. Valens vinse il sorteggio e con esso il posto a sedere sull’aereo per quella notte.

Nel film La Bamba c’è un particolare scambio di battute tra i personaggi di Valens e Holly. Holly dice a Valens sull’aereo, riferendosi al fatto che loro ormai fossero due stelle del rock’n’roll: “Il cielo appartiene alle stelle”. E Valens, che non aveva mai volato prima in vita sua, aveva chiesto: “E le stelle non cadono, vero?

Anche a Dion DiMucci del gruppo Dion & The Belmonts (quarto nome in cartellone insieme a Holly, Big Bopper e Valens) fu offerto di prendere l’aereo, ma il musicista declinò l’invito poiché riteneva il prezzo del biglietto di 26 dollari troppo costoso.

Appena dopo l’una di notte del 3 febbraio il Beechcraft Bonanza decollò dall’aeroporto di Mason City pilotato dal 21enne Roger Peterson, che, nonostante la sua giovane età, aveva già una buona esperienza di volo. Nevicava e la visibilità era scarsa, e dopo il decollo l’aereo scomparve in fretta alla vista. Alle 3:30 del mattino dall’aeroporto Hector di Fargo in North Dakota comunicarono di non avere avuto mai contatti con il velivolo. Il proprietario della compagnia aerea che aveva organizzato il volo, molto preoccupato, la mattina alle 9, prese un altro aereo per seguirne la rotta, avvistandone i resti al suolo a otto chilometri di distanza sul terreno innevato in un campo coltivato a granoturco. 

L’inchiesta realizzata all’epoca accertò che il disastro aereo fu dovuto ad una combinazione di maltempo abbinato ad un errore del pilota.

Si scoprì poi che Peterson non era stato informato correttamente sul meteo, e soprattutto che non era pratico degli antiquati strumenti presenti su quell’aereo: probabilmente interpretò male i dati sull’altitudine, e mentre l’aereo si avvicinava al suolo pensava di guadagnare quota.

Nel 2015 la National Transportation Safety Board, ha acquisito nuovi, inquietanti elementi. Sembra che sul sedile del pilota sia stato trovato un foro provocato da un proiettile e che una pistola, presumibilmente di proprietà di Buddy Holly, giacesse nel campo dove si schiantò l’aereo, a poca distanza dal relitto. Dal tamburo dell’arma, inoltre, sarebbe mancato un proiettile. 

Dettagli molto simili furono già rivelati nel 1996 nel libro firmato da Ellis Amburn, la biografia non autorizzata Buddy Holly: a biography, in cui si raccontava di come la polizia dello Iowa, giunta sul luogo dell’incidente, trovò chiari segni di una colluttazione sulle pareti della cabina del piccolo aereo.

La tragedia della morte di Buddy Holly viene menzionata nel film “American Graffiti” e in un episodio della serie “X-Files”. Su Holly è stato girato inoltre il biopic “The Buddy Holly Story

Insieme ad altri musicisti come Johnny Cash, Chuck Berry e Bill Haley stava facendo quella che sarebbe stata ricordata come una delle più importanti rivoluzioni culturali della seconda metà del Novecento: stava inventando il rock and roll. Non era spavaldo e ancheggiante come Elvis ma profondo ed insicuro, magro e con gli occhiali!

Dopo la sua scomparsa, Holly ha continuato ad  influenzare la nuova scena musicale come pochi altri. Bob Dylan, Mick Jagger, Paul McCartney, Eric Clapton, Elton John, Joe Strummer e Elvis Costello lo hanno venerato come mito assoluto e si sono ispirati alla sua produzione.

Dall’altra parte dell’oceano, il giovane, insicuro e occhialuto, John Lennon prende Buddy Holly come punto di riferimento per seguire la sua passione musicale senza rinunciare a esternare i propri disagi e le proprie sconfitte.

Buddy Holly ebbe un’influenza importantissima sui Beatles. Sotto molto punti di vista.

The Crickets e The Quarrymen si formarono nello stesso anno (1957) e con gli inglesi che copiarono spudoratamente i loro coetanei texani. Questa adorazione dell’eroe si intensificò quando l’esibizione dei Crickets al London Palladium, fu trasmessa dalla TV britannica nel 1958. In effetti, la prima canzone registrata dai Beatles fu That’ll Be The Day.

Il nome “The Beatles” (gli scarafaggi) è un imitazione del nome del gruppo di Buddy Holly, “The Crickets“(i grilli). Paul e John erano alla ricerca di un nome che avesse un doppio significato. Crickets in texas sono i Grilli ma in Inghilterra è un gioco di squadra… allora cercarono anche loro un insetto Beetles che potesse richiamare la musica e sostituendo una “e” nacque il nome The Beatles.

Buddy Holly ha ispirato John Lennon e Paul McCartney a suonare, cantare e scrivere le proprie canzoni. Citando John Lennon: “Buddy Holly è stato il primo di cui eravamo consapevoli in Inghilterra che sapesse suonare e cantare allo stesso tempo – non solo strimpellare, ma effettivamente suonare”. Si presumere che Lennon si riferisse a Elvis Presley, che era più un cantante che un chitarrista. “Ho sentito Presley occasionalmente descrivere che “indossava la chitarra meglio di come la suonava”. Holly, al contrario, poteva fare entrambe le cose contemporaneamente. Ancora più importante, Holly ha scritto materiale originale, ispirando ulteriormente i Beatles a fare lo stesso.

Paul McCartney ha rivelato che è grazie a Buddy Holly che John Lennon si decise ad indossare gli occhiali. «Era cieco come un pipistrello, ma fin da ragazzo si vergognava a mettere gli occhiali. Solo quando vide che Buddy aveva successo si decise a portarli. Senza, non riusciva davvero a vedere nulla. Ricordo che una volta, sotto Natale, mi disse che vicino a casa sua c’era gente che giocava a carte nel giardino, al freddo, all’una di notte. Incuriosito, passai a dare un’occhiata, e vidi che era un presepe».

John registrò Peggy Sue di Holly nel suo album “Rock And Roll” del 1975. La prima canzone che imparò a suonare fu “That’ll Be The Day” di Holly.

Paul possedeva i gemelli che Holly indossava quando morì. Acquistò inoltre, il catalogo musicale di Buddy Holly e a partire dal 1976  organizzò una festa per il giorno della sua nascita, chiamata “Buddy Holly Week”.

Durante l’esistenza dei Quarrymen/Beatles, hanno suonato un totale di almeno 13 canzoni di Buddy Holly nei loro spettacoli dal vivo.

I Beatles registrarono per la prima volta “Crying, Waiting, Hoping” per la loro sfortunata audizione alla Decca il giorno di Capodanno del 1962.

Lo registrarono di nuovo il 16 luglio 1963 per il programma radiofonico Pop Goes the Beatles, la canzone è inclusa nell’album The Beatles: Live at the BBC.

I Beatles suonarono “Mailman, Bring Me No More Blues” nei loro spettacoli dal vivo dal 1961 al 1962, ma non lo registrarono mai fino al gennaio 1969, durante le sessioni di Get Back, la possiamo trovare in The Beatles Anthology 3.

I Beatles non registrarono mai “Maybe Baby” fino al gennaio 1969, quando lo suonarono durante le sessioni di Get Back.

Il lato A del singolo contenente “Mailman, Bring Me No More Blues” era “Words of Love“, che i Beatles inclusero nel loro album del 1964 Beatles for Sale .

Groundhog Day

Le radici del giorno della Candelora affondano nella tradizione cristiana, che il 2 Febbraio di ogni anno festeggia, la presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme come è raccontato nel vangelo di Luca (2, 22-29). Simeone, uomo saggio e giusto, prese in braccio Gesù e recitò le parole che nella liturgia delle ore vengono recitate ogni giorno: «Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparata dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Questa ultima frase diede origine alla tradizione della benedizione delle candele che simboleggiano per l’appunto l’arrivo della Luce e, a seconda del loro consumo, quanto sarebbe stato ancora lungo l’inverno.

A seguito di questa, con gli anni, si sono moltiplicate le credenze e le tradizioni popolari che hanno fatto del giorno della Candelora la data di inizio della fine dell’invero. “Quando vien la Candelora, dall’inverno semo fora, quaranta dì di inverniciola” è il detto che mi è stato insegnato fin da piccolo. Come per il giorno dei morti ed altre festività legate alla chiesa cattolica, negli altri paesi sono state avviate tradizioni ed usanze più laiche. Così il 2 Febbraio è diventato il giorno in cui, osservando il comportamento degli animali in letargo, si sarebbe stabilita la durata del periodo freddo. I tedeschi per le previsioni scelsero il riccio, ma una volta arrivati nel Nuovo Mondo come coloni, in mancanza di ricci ma circondati invece dalle marmotte, presero queste come mezzo per prevedere la durata dell’inverno. Fu così che nel 1887 a Punxsutawney, in Pennsylvania venne celebrato il primo Groundhog Day. Alla marmotta venne dato il nome di Phil e da allora tutte le generazioni a seguire hanno mantenuto lo stesso nome. Il meccanismo è molto semplice, ogni 2 di febbraio ci si riunisce davanti alla tana di una marmotta in letargo e si attende che esca, se la marmotta esce dalla tana e vedendo la sua ombra si spaventa ritornando nella sua tana, si prevedendo almeno ancora sei settimane di clima invernale, Se invece resta all’esterno a godersi l’aria fresca significa che la primavera è alle porte. La tradizione è raccontata nel film del 1993 Groundhog Day con Bill Murray tradotto malamente in italiano col titolo Ricomincio da capo. Quest’anno purtroppo causa COVID, la celebrazione al Gobbler’s Knob a Punxsutawney, che richiama migliaia di persone, non si svolgerà …chissà cosa farà Phil!?

Lovesick Duo – All Over Again

Francesca Alinovi e Paolo Roberto Pianezza sono due persone fantastiche, due musicisti con i controca… fiocchi, ma prima di tutto due amici con i quali ho avuto la fortuna di condividere alcuni momentiI indimenticabili e la passione per la cultura musicale del sud degli stati uniti il folk, il country&western, il rockabilly. Sono un duo composto da double bass e chitarra, non si avvalgono di batteria perché Francesca, grazie alla tecnica Thumb and Popping  applicata al contrabbasso, sostiene interamente la parte ritmica incrementata durante l’ultimo anno, dell’aggiunta di un brush pad che applicato alla parte superiore del corpo del double bass funge da rullante che Francesca suona con una spazzola con una scioltezza che fa sembrare facile quello che invece è un grande dono, pochi come lei sono in grado di trattare così uno strumento considerato di backline che nelle sue mani diventa un assoluto ed insostituibile protagonista. 

Paolo, suona chitarra elettrica, chitarra resofonica e lap steel, dire solo che suona è riduttivo perché è uno dei migliori chitarristi che abbia mai visto in azione, una tecnica ed una facilità di passare da uno strumento e da uno stile all’altro impressionanti e se unito a questo mettiamo il fatto che mentre fa tutto ciò canta e anche molto bene.. entra nella categoria dei fenomeni.

Paolo è la voce principale e l’autore dei brani che vengono perfezionati insieme e dove Francesca sostiene tutti i cori.

Durante i primi anni hanno documentato la loro attività con un VLOG divertentissimo nel quale raccontavano la vita dei musicisti on the road ed un appuntamento il lunedì pomeriggio nel quale, in diretta streaming, invitavano musicisti nel loro salotto coi quali parlavano di musica e improvvisavano jam session.

Il nome Lovesick Duo deriva dalla canzone Lovesick Blues di Hank Williams che apre il loro primo disco omonimo del 2015 che è un omaggio ai classici del folk del country e del r’n’r dove si trova tanta tradizione americana (Texas Plyboys, Chuck Berry, Merle Travis, Hank Williams…)

The New Orleans Session (2017) è un disco registrato durante uno dei loro lunghi viaggi annuali a New Orleans, soggiorni nei quali approfondiscono la lingua, la cultura e la musica stringendo Jam Session improvvisate con gli artisti che popolano quelle strade che trasudano di musica e tradizioni ed esibendosi a loro voltaovunque gli capiti di suonare. In questo disco incominciano ad apparire le prime canzoni scritte in italiano, alcune delle quali saranno inserite nel loro primo vero e proprio disco di inediti La valigia di cartone del 2018. 

Nonostante abbiano da tempo pronto un nuovo disco di inediti in italiano, in questo 2021 hanno deciso di pubblicarne uno di inediti in inglese in previsione di un tour estivo in giro per tutta l’Europa, ci auguriamo che l’emergenza COVID gli permetta di far conoscere la loro musica in giro per il mondo… se lo meritano davvero.

All Over Again è uscito il 15 di Gennaio, in formato digitale, in CD ed in Vinile. Sono rimasti i testi ironici che in questo disco sono però in inglese e le grandi performance al double bass della Fra e l’uso massiccio di chitarre da parte di Paolo. La title track e Second Chance saranno rispettivamente il lato A e il lato B del loro 45 giri, di entrambe le canzoni sono già usciti due splendidi video. Parlano, la prima, di conquiste amorose mentre l’altra della seconda possibilità di ricostruire il rapporto con la fidanzata giocata su un simpatico duetto vocale e strumentale. Black and White Light ha venature blues, I Might Be Going Home richiama il western swing con la chitarra resofonica a dettarne la linea. Ain’t No Other Place (For You and Me) ci riporta al temi tipici del Vaudeville arricchito dalla presenza del Fiddle di Alessandro Cosentino. I Wish You Were My Baby è una ballad up tempo tipica dei ’50 a tema corteggiamento. I’m in Love with My Baby, tipicamente rockabilly, parla sinteticamente dell’accettazione dell’altro. Paradise Island è un brano strumentale interamente giocato con la lap steel, uno strumento di origine Hawaiana, che riporta automaticamente alla mente le spiagge delle isole dell’arcipelago americano. I Don’t Love You Anymore è una country ballad che affronta un classico tema del genere… un amore finito. The World Is Different Without You porta lo spirito direttamente a Frenchmen Street, la strada della musica di New Orleans. That Record That You Liked è una ballad in perfetta linea con lo stile Americana. Lovesick Boogie, come dice il titolo stesso, è un boogie-woogie strumentale dall’atmosfera dei primi del ‘900. Il disco non potrebbe trovare conclusione migliore che con Today’s the Day, un consiglio che richiama il Carpe diem Oraziano e ci invita a prendere tutto quanto di buono ci riserva il giorno che stiamo vivendo.

Un disco divertente e travolgente dove i testi rispecchiano quelli già apprezzati nelle loro composizioni in lingua italiana rendendo il prodotto vendibilissimo sia sul mercato nord ed est europeo che su quello d’oltre oceano. Scittura fresca e immediata che, anche grazie alla grande presenza della Frà e di Paolo sul palco, continuerà a coinvolgere, nonostante la distanza linguistica, il pubblico che accorrerà sempre numeroso ad ascoltarli. Lovesick Duo sono quanto di più vicino possa esserci in italia alla filosofia musicale del Country Bunker, oltre all’affetto ed alla stima che provo per loro, All over again è un disco acquistare, da consumare e da spammare… questa è la Musica che voglio e che desidero ascoltare.

David Quinn – Letting Go

David Quinn nasce a Chicago come batterista, nei lunghi periodi trascorsi in tour per gli Stati Uniti con numerose band, ha trovato il tempo, durante i lunghi spostamenti, di scrivere un ampio catalogo di canzoni. Tornato nel Midwest per riordinare le idee, è immediatamente partito per Nashville. Qui un paio di miglia ad est di Music City, si trova The Bomb Shelter, uno degli studi di registrazione analogici più attrezzati di Nashville, dove sembra che il tempo si sia fermato agli anni ’70, di proprietà di Andrija Tokic, conosciuto alle masse per aver prodotto nel 2012 l’album Boys and Girls di Alabama Shakes. David Quinn ha registrato lì nel giugno 2018 il suo primo album Wandering Fool con una band composta da Dave Roe (il bassista di Johnny Cash), Jimmy Lester (batterista di Billy Joe Shaver) e Micah Hulscher (tastierista di Margo Price). La fusione di questi musicisti iconici con il suo stile country del Midwest ha dato al suo primo album in studio un suono unico nel panorama del country classico. David aveva tante canzoni pronte che immediatamente nel 2020 è uscito con un nuovo album Letting Go, con la produzione di Mike Stankiewicz troviamo ancora Micah Hulscher insieme ad un manipolo di musicisti di prim’ordine: Dillon Napier (batteria), Jamie Davis (chitarra), Brett Resnick (steel guitar) e Laur Joamets (già chitarrista di Sturgill Simpson e ora Drivin’ & Cryin’). Al contrario di molti dischi pubblicati ad east-Nashville, a volte troppo ridondanti di suoni anni ’70, questo Letting Go è un vero disco country del 2020, duro e puro, dai suoni moderni e puliti con canzoni che rispecchiano appieno la filosofia esistenziale del Country, quella che ci spinge ad andare avanti nonostante le difficoltà, invitandoci a lasciarsi alle spalle tutti i problemi della vita.

Le canzoni contenute nel disco sono classic country, già con la title track appare un twang da California anni ’50 e un sentore di honky tonk incomincia a pervadere l’intero disco. Ride On e Thunderbird Wine sono due up-tempo al fulmicotone, 1000 Miles e Midnight Woman sono quanto di meglio si possa trovare sul mercato dell’Outlaw Country. Hope I Don’t e Let Me Die With My Boots On sono due classiche Country Songs. Horse e la conclusiva Maybe I’ll Move Out to California sono due languide country ballad sostenute la prima da una steel guitar e l’altra da una Telecaster.  Born to Lose è forse la meno ortodossa, incorpora sfumature blues pur mantenendo la coerenza di una country song. 

Forse per tutto quanto ci sta accadendo attorno, forse per la ricerca di un ritorno alle cose semplici, forse perché stanchi della melassa country pop che l’industria discografica di Nashville cerca di propinarci quotidianamente, sta di fatto che, questo 2020 ci continua a regalare dischi con quel suono e quelle storie che vorremmo ascoltare sempre, non andando a riascoltare Waylon Jennings o Merle Haggard, ma scritte da ragazzi giovani che fortunatamente riescono a regalarci in questi tempi bui, quelle emozioni ancestrali che solo la musica country&western è in grado di offrirci.

The Piedmont Boys – Almost Home

La mia crociata a favore della Country Music continua. Quello che ci è stato tolto in questo periodo storico è la curiosità… ora ci sono applicazioni e social che fanno tutto al posto nostro tracciandoci e cercando di individuare i nostri gusti, filtrando le notizie, i video e le canzoni che secondo un algoritmo sofisticatissimo sono i più adatti per noi. In tanti purtroppo non si preoccupano, gli basta essere generalmente informati e così pensano di essere al passo con i tempi. Parlare di rock e di pop nel 2020 è totalmente inutile perché non esistono più, sono stati massificati in un calderone che accontenta tutti quelli che hanno perso la curiosità ma l’algoritmo più importante si trova tra la nostra pancia ed il nostro cuore ed è l’unico che ci fa emozionare davvero. Musicalmente parlando ci sono stati nella mia vita sabato interi passati al New Note ad ascoltare i dischi appena usciti, ora grazie alla tecnologia, che se usata con intelligenza è uno strumento utilissimo, passo i sabato ad ascoltare musica, le ultime uscite, le storie e cosa succede nel mondo musicale. Il Country è una musica onesta, fatta da gente onesta che racconta storie di vita quotidiana, una musica empatica che rilascia endorfina. Fortunatamente scavando appena sotto la superficie si possono scoprire tanti cantanti e gruppi che onestamente portano avanti in maniera incontaminata i due generi musicali. Tra loro ci sono The Piedmont Boys originari di  Greenville, SC fondati una decina di anni fa dal frontman Greg Payne, voce e chitarra e composti da: Stuart McConnell chitarra, Matt Parks violino, Mike Johnson basso e Tony Pilot batteria. Hanno percorso migliaia di chilometri per suonare altrettanti concerti, hanno pubblicato quattro album e girato metà degli Stati Uniti continentali, ovunque vadano, alla fine di ogni concerto, si sentono ripetere la stessa frase: “Non mi è mai piaciuta la musica country finché non vi ho ascoltati”. La frase è pronunciata da persone abituate alla pop-country annacquata che sentono alla radio ogni giorno, perché senza la curiosità di scoprire di cosa si ha bisogno davvero è questo quello a cui siamo destinati… accontentarsi perché crediamo non ci sia altro. 

Se non conoscete Outlaw Country, honky-tonk, Blue-collar music, bicchieri di whiskey, campi di grano, mandrie da radunare, le gioie e i dolori della vita… potete recuperare ascoltando The Piedmont Boys, una band che ama così tanto suonare dal vivo che non hanno avuto un fine settimana libero in sette anni.

Almost Home è un album Country come deve essere un album country, l’iniziale Rice Beans è stata anche la traccia principale del loro album di debutto del 2008, è apparsa di nuovo nel loro disco del 2015 Scars & Bars e ancora nel 2016 in All On Red non è solo una traccia, è un biglietto da visita che dopo 30 secondi di ascolto ci catapulta all’interno del fantastico mondo della Country Music, che ci avvolge, ci abbraccia, ci racconta storie, ci fa sentire bene, a posto con il mondo, che non risolve certo tutti i nostri problemi ma che sicuramente ci aiuta ad affrontarli molto meglio.

Non li definirei una band di Outlaw, più della steel guitar i protagonisti principali del suono della band sono la chitarra di Stuart McConnell che a volte è elettrica, altre acustica, altre classica e ill violino di  Matt Parks, che si alternano magicamente a tessere melodie incredibili come in $50 And a Flask of Crown. Stoned è un catalogo di come si possa utilizzare una chitarra elettrica. Ci sono classiche country ballads sia elettriche She Prays to God, In Came You (che è così bella da poterla considerare già un classico country), che acustiche Drunk Again e Spartanburg Sign. Il Tex-mex di Boomerang ed anche l’outlaw di Wrong Turns che assume un sapore diverso senza steel guitar e con il violino. Questo rende The Piedmont Boys unici nel genere bagnando talvolta la loro musica anche nel fiume del bluegrass.

Se siete curiosi ora non vi resta che ascoltare The Piedmont Boys una versione pura del Country e dell’Outlaw se doveste scegliere un disco per avvicinarvi al Country per la prima volta dovete ascoltare Almost Home.

Charley Pride (Sledge, 18 marzo 1938 – Dallas, 12 dicembre 2020)

Charley Pride è stato il vero pioniere del black country, è stato il primo artista nero a diventare un membro della Country Music Hall of Fame, in carriera ha piazzato 30 canzoni al #1 nelle Country Charts, ha vinto tre Grammy Awards, ha inciso 41 album in studio, 8 dei quali certificati Gold Albums.
La sua ultima esibizione è stata l’11 novembre 2020 al CMA Awards, dove ha interpretato Kiss and Angel Good Mornin (il suo primo #1) con Jimmie Allen.
Charley Pride, ha iniziato la sua carriera musicale negli anni ’50, sul campo da baseball. Era un musicista autodidatta cantava e suonava la chitarra sull’autobus con i suoi compagni di squadra dei Memphis Red Sox della Negro American League. Mentre era giocatore nella lega semi-pro, ha continuato a esibirsi live e cantare l’inno nazionale alle partite. Dopo un provino fallito con i New York Mets, iniziò ad occuparsi di musica a tempo pieno, ottenendo il suo primo contratto nel 1966 con l’RCA. La sua prima canzone, Just Between You and Me, ha raggiunto la top 10 della classifica Country e ha gli fatto ottenere la sua prima nomination ai Grammy. Negli anni ’70, è diventato l’artista più venduto della RCA Records dai tempi di Elvis Presley.
Charley Pride ci ha lasciato sabato 12 dicembre all’età di 86 anni a Dallas , Texas a causa di complicazioni dovute a COVID-19.
R.I.P. Charley

Kendall Shaffer – Rowdy to Righteous

C’è qualcosa di magico, caldo e speciale nel traditional country e che un ragazzo nato nel 1991 ne sia uno dei più interessanti interpreti regala speranze che la country music non possa mai finire nonostante i tentativi di music row di portarla su strade commerciali più rimunerative, c’è uno zoccolo duro in crescita che continua a credere nei valori della tradizione ed a portarla avanti a testa alta. Kendall Shaffer ha tatuati sulle braccia il logo di Hank Jr. (quello col simbolo della Ruger) e la Flying W di Waylon Jennings. Se a questo si aggiunge il suo EP di debutto, The Traditional Revival, dove i 5 pezzi contenuti ripropongono la sintesi di 20 anni di musica direi che le basi sono gettate. Come dicono gli americani “he cut your teeth” (trad. si è fatto le ossa) suonando negli ultimi 10 anni in honkytonk bar e piccoli locali, costruendosi davvero una carriera da solo, a 16 anni era già su un palco dove ha dovuto imparare sia ad usare il suo ampli, sia ad occuparsi delle trattative e dei compensi. Il suo gruppo al momento è formato, come lui li definisce: da “ragazzi stagionati” che potrebbero essere suo padre o suo nonno ma che gli danno una solidità di suono alla pari di quella di un musicista con 20 anni di esperienza alle spalle. Kendall è nativo della Luisiana, l’amore per la country music gli è stato instillato fin da piccolo e da quando suo padre gli insegnò i 3 accordi fondamentali per eseguire la maggior parte delle canzoni, non si è più fermato.

Da poco, dopo l’EP del 2018, è uscito con questo album Rowdy to Righteous dove è l’honkytonk a occupare gran parte della scena, ma trovano spazio i mid-tempo, gli up-tempo, le country ballads e un doveroso omaggio alla tradizione con Pancho and Lefty. Un disco che amo, cantato senza l’uso sfrontato e ridondante del tono baritonale ma con uno stile moderno che colloca melodie tradizionali in un contesto più attuale. Grazie a dischi come questo si possono portare le nuove generazioni a tornare ad apprezzare il country tradizionale e farlo tornare ad occupare il posto che più si merita, oltre che in vetta ai nostri cuori anche in vetta alle classifiche. 

Tyller Gummersall – Tyller Gummersall

Tyller è cresciuto lavorando nei ranch del Colorado sud-occidentale, ha iniziato a cantare a 8 anni, ha scritto la sua prima canzone a 9 sotto la guida del due volte campione nazionale di flat pick Gary Cook.

Un passo decisivo per la sua carriera è stato quando nel 2011 ha registrato l’EP Beer and a Rose con alcuni membri delle band di Ryan Adams e John Prine al Welcome to 1979 (uno studio di registrazione analogico a Nashville). 

L’altro è stato quello di aver incrociato sulla sua strada Lloyd Maines che gli ha prodotto il suo terzo album “Long Ride Home” e 3 canzoni su 8 di questo  suo nuovo disco che si dimostra essere un vero e proprio distillato di Country tradizionale.

You Pay for It apre il disco ed è un honky tonk al quale non si può non abbandonarsi.  Heartbreak College racconta delle tristi storie d’amore nelle quali si fa molta fatica a non farsi coinvolgere emotivamente.  What If It Was That Easy è una languida ballad da fire-camp

Why Do I Buy Whiskey è un up-tempo che abbraccia un’altro dei temi classici delle country songs… il rapporto con gli alcolici!

La musica country è musica di paese, un altro dei temi cari a questo genere sono le storie dei lavoratori dei campi, dei mandriani e dei blue-collar. Working Man descrive bene questa condizione dove il lavoro, che si svolge per sostenere la propria famiglia, è qualcosa che, nella maggior parte dei casi, non lascia spazio alla “vita”.

Fathers and Sons porta il discorso sugli affetti, altro tema fondamentale nella country music: la famiglia prima di tutto, è questo che importa veramente, il calore famigliare è in grado di riequilibrare e di mettere le cose nell’ordine di importanza. Con What It Is I Want, che è una canzone d’amore, abbiamo completato l’elenco degli argomenti che ci si aspetta di trovare in un disco country. L’album si chiude con How Did I Get Here, parla ancora ancora di famiglia, un abbraccio conclusivo a ciò che resta a tutti gli effetti la cosa più importante.

Questo è uno di quei dischi non offre nulla di nuovo nel panorama country, ma sinceramente quello che mi aspetto da un disco dei due generi sono le emozioni, le belle canzoni e l’atmosfera calda, sincera e familiare che solo il country riesce ad offrire e questo album è pieno zeppo di ti tutto questo.

Tris Munsick & the Innocents – Washakie Wind

Come sapete il mondo della musica è suddiviso nei due generi musicali: il country ed il western. Il Country appartiene alla cultura del sud-est  mentre il western è retaggio dei cowboy del nord-ovest, Tra i due quello che è rimasto più incontaminato è il genere western, nella maggior parte dei casi suonato da veri cowboy. Tris Munsick è uno di loro, cresciuto in Wyoming tra cavalli e bovini nella fattoria di famiglia è stato abituato ad ascoltare e suonare musica country fin da bambino e le sue canzoni rispecchiano proprio quello stile di vita, fatto di cose semplici, della vita, dell’amore, delle preoccupazioni, dei cavalli e delle mucche, i testi sono colmi di sincerità così come la musica che li accompagna e li sostiene.

Tris Munsick scrive le canzoni suona la chitarra e canta, Gli innocents sono Daniel Ball alla chitarra solista e cori, Tom Lulias alla steel guitar, Nick Lulias al basso e Ryan Bell alla batteria. Si sono formati nel 2012 e a Sheridan, WY. La loro è vera e genuina country music, se cercate un prodotto a D.O.C.G. questo Washakie Wind fa respirare l’aria di quei luoghi, le grandi praterie e i veri western blue sky. Cowboy ballads, barn dance e un pizzico di honky tonk, questi sono gli ingredienti principali del disco, dove tutta la band è protagonista sostenuta da una precisa base ritmica e le chitarre che si inseguono in lunghe cavalcate in ogni brano. Non manca il fiddle che regala quel calore e quell’abbraccio che solo la musica country è in grado di regalare un unico ascolto di Windows and Doors basterà per farvi innamorare perdutamente di questo suono e di questo disco, uno dei  più belli, onesti e genuini di questo 2020!