The Wildmans- The Wildmans

I Wildmans sono una string-band neo-tradiditional composta da quattro giovani dal grandissimo talento, Eli mandolino e Aila al violino sono i fratelli Wildman ai quali fanno compagnia Victor Furtado, al Banjo e Sean Newman al contrabbasso e alla voce

Provengono dalle colline di Floyd, in Virginia, nel cuore della tradizione musicale degli Appalachi.

Il gruppo è apparso da un po’ di tempo su palchi grandi e piccoli, condividendoli con talenti come Bela Fleck, The Steep Canyon Rangers, The Steel Wheels, Sierra Hull, Billy Strings… solo per citarne alcuni

Questo album propone miscele vocali e virtuosismi strumentali, che si combinano alla perfezione per creare uno dei suoni più freschi nella musica roots americana odierna posizionandosi esattamente all’incrocio tra passato e futuro.

Balza immediatamente all’orecchio come la band sia priva di chitarra presente solo nella canzone della bravissima Dori Freeman Rid My Mind.

Il disco apre con una versione completamente rivisitata di You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go di Bob Dylan regalandocene una visione musicale incredibilmente gioiosa se contrapposta all’originale. Falling Up è un brano originale di Eli Wildman. I tradizionali  Richmond, Garfield’s Blackberry Blossom e Sitting On Top of the World vengono riletti e reinventi con innovazione, freschezza e passione.

Allo stesso modo, riescono a lasciare la loro impronta anche affrontando canzoni meno conosciute, creando un improbabile mesh-up tra di Monster Ride di Furtado e Rock of Ages di Gillian Welch e David Rawlings.

I Wildmans con questo disco ci dicono che ci sono alla grande e nonostante la loro giovane età, sono riusciti ad alzare l’asticella ad un’altezza impressionante riuscendo a riscrivere pagine importanti di musica senza cadere nella scontentezza e nella ripetitività ma riuscendo a confezionarle in un suono Grassicana del terzo millennio. Direi proprio che le fondamenta sono state gettate, ora non resta che aspettare un disco di brani originali per consacrare definitivamente i ragazzi nelle alte sfere della musica bluegrass/americana.

Bowregard – Arrows

Bowregard è una string-band composta da cinque elementi che ha conquistato in brevissimo tempo il mondo bluegrass del Colorado, vincendo sia l’Ullrgrass Bluegrass Band Contest del 2018 sia il Telluride Bluegrass Band Contest del 2019 e tutto questo in meno di un anno dalla loro formazione. La loro musica è ispirata  sia dal traditional bluegrass che dal progressive bluegrass e con il loro disco di debutto, Arrows danno un tocco moderno alla musica acustica americana grazie all’utilizzo di strumenti della tradizione, disposti a semicerchio di fronte ad un unico microfono e grandi armonie vocali che esprimono la dicotomia della vita dolce ed amara  rilasciando  un suono davvero unico che li differenza da qualsiasi altra band del Colorado.

I Bowregard hanno la loro base a Boulder, in Colorado, e si sono formati quando il chitarrista Max Kabat e il banjoista James Armington incontrarono la violinista Colleen Heine e il bassista Zachary Smith, entrambi appena arrivati in Colorado dopo essersi fatti un nome nella scena musicale di Savannah, in Georgia. Il campione del Dobro contest al Rockygrass festival del 2016, Justin Konrad si è unito al gruppo subito dopo, all’inizio del 2019.

Fallen Angels è davvero un grande inizio con una cascata di note di banjo e sferzate di fiddle che accompagnano alla perfezione la storia di un uomo inseguito dai demoni del suo passato. Banjo e dobro sono l’asse portante di A Reasonable Man, la storia di John che cerca di vendetta sulla sua città che lo ha trattato male.  Sage, The Western Basil è un pezzo strumentale (il primo dei tre contenuti nel disco)  dove le doti di grandi musicisti dei Bowregard vengono messe in grande risalto. Formaldeide è una’classica cavalcata Bluegrass che ruota interamente attorno al fiddle. High on a Mountain è un classico del bluegrass di Ola Belle Reed, che qui è stato completamente reinventato in una armonia minore aggiungendo pathos in una canzone nata per armonie in maggiore. Cousin Sally Brown è ispirato dalle radici irish a cui il bluegrass deve le sue origini, tutta finemente giocata tra fiddle e dobro. Nothin’ To It  è una struggente ballata dedicata ad un padre defunto. La title track Arrows, riprende a spingere e la band si lascia andare ad innumerevoli solo di cui la musica bluegrass è ricca. Flannery’s Dream è il terzo ed ultimo brano strumentale, probabilmente quello che racconta meglio l’unione tra classic e progressive bluegrass, suono distintivo della band dove ritroviamo appieno tutte le radici appalachiane.  The Henrys è la canzone con la quale ho conosciuto Bowregard grazie al video apparso su bluegrasssituation.com , racconta una storia di gioco d’azzardo, fuga e solitudine sicuramente una grande canzone è stato proprio grazie a questo brano che ho incominciato a seguire con interesse questi cinque ragazzi sperando che arrivasse presto  quello che ora è a tutti gli effetti il loro primo disco!!!. Le storie raccontate nell’album appartengono alla tradizione delle Blue Ridge Mountain i temi sono quelli cari ad entrambi i generi: l’amore, la solitudine, la sconfitta, il moonshine, la quotidianità della società rurale. Il bluegrass è gioia, è ballo ma è anche profondamente triste, la bellezza di questa musica è proprio questa un eterno dilemma esistenziale espresso in note. io lo trovo affascinante e nello stesso tempo meraviglioso, un suono che apre l’anima, mi fa muovere e mi agita la mente. Bowregard sono tutto questo, radici nel passato e nella tradizione ed uno sguardo sul futuro ma una visione del presente. Arrows ha 11 frecce una più appuntita dell’altra… il mio consiglio è quello di lasciarvi trafiggere da tutte senza paura!!!

Caleb Caudle – Better Hurry Up

La vita di Johnny Cash lo portava ad essere quasi sempre in viaggio, ma quando tornava a casa, desiderava un posto dove potersi rilassare. Negli anni ’70 per i Cash lavoravano oltre trenta impiegati. Il suo ufficio, The House of Cash, si trovava a Hendersonville, TN, in quella che avrebbe dovuto essere la sua casa sul lago che era sempre pieno di gente, Un bel giorno Johnny, ha recintato quaranta acri di terra proprio di fronte alla sua residenza popolandolo di bufali, daini, antilopi, cervi, struzzi e cinghiali, tutti liberi di vagare liberamente nel suo zoo personale. Fatto questo, decise di costruire una baita nel mezzo del recinto, sperando di crearsi così un posto dove trovare conforto e pace, un posto dove scrivere le sue canzoni, prendersela comoda e rilassarsi. La costruzione iniziò alla fine del 1978 e terminò nel gennaio del 1979. La cabina fu realizzata con tronchi tagliati a mano, June ha poi aggiunto i suoi tocchi personali alla struttura rustica. 

La cabina era come un santuario. Johnny viveva lì, faceva colazione per sé e suo figlio John, guardava film e si occupava dei suoi lavori di pelletteria. Nella cabina è stata scritta molta storia della musica.

Tom Petty e gli Heartbreakers si fermarono li nei primi anni ’80. John Schneider il Bo di “The Dukes of Hazard” ha vissuto nella cabina per un periodo di tempo a metà degli anni ’80. Tra i visitatori: Robert Duvall, Waylon Jennings, Kris Kristofferson, Bono e Adam Clayton degli U2.

Nel 1991, la sorella di June Anita Carter si trasferì nella cabina e la fece tornare una casa. In realtà però è stata proprio Anita a registrare per la prima volta nella cabina. Nel 1992, Johnny incontrò il produttore Rick Rubin e andò in California a lavorare con lui per registrare il primo album di della serie American Recordings, tutti i brani sono stati registrati nella casa di Rubin ma un paio di tracce furono registrate proprio nella cabina, con un registratore a nastro e dei microfoni standard. 

La magia della musica della cabina ebbe origine da lì.

A partire da American Recordings III, Solitary Man, Johnny ha continuato a registrare gran parte della serie American Recordings presso la cabina. June Carter Cash ha registrato lì gli ultimi due album della sua vita,  John Carter Cash ha lavorato intensamente con i suoi genitori e per la loro musica.

Nell’estate del 2003, l’ultima registrazione di Johnny, pochi giorni prima della sua morte, è stata nella cabina.

Dopo la scomparsa di Johnny e June, John Carter continuò a registrare e produrre musica in cabina. Il Cash Cabin Studio, come è ora noto, è cambiato nel corso degli anni, anche se l’anima di quel luogo è rimasta invariata.

Ora il Cash Cabin Studio è uno spazio di registrazione privato, di proprietà e gestito da John Carter e sua moglie Ana Cristina Cash.

Nel 2020 Caleb Caudle voleva un suono originale per il suo nuovo album. Ha riunito così prestigiosi musicisti vincitori di svariati Grammy per cercarlo e trovarlo nella Cash Cabin.

Better Hurry Up, è il suo ottavo album in studio. John Jackson dei Jayhawks ha prodotto il disco, gli ospiti includono Courtney Marie Andrews, Elizabeth Cook, Gary Louris e John Paul White mentre la band comprende Mickey Raphael all’armonica (Willie Nelson), Dennis Crouch al basso (Elton John, Leon Russell), Fred Eltringham alla batteria (Willie Nelson, Sheryl Crow), Russ Pahl alla pedal steel (Kacey Musgraves , Dan Auerbach), Laur Joamets alla chitarra (Sturgill Simpson, Drivin ‘N Cryin’) e, alle tastiere, Pat Sansone (Wilco) e Rhett Huffman (American Aquarium).

Il disco è stato registrato in pochissimi giorni, questo conferisce all’album una atmosfera ed un suono rilassati e naturali. 

Caudle è cresciuto nelle campagne fuori Winston-Salem in NC, ai piedi degli Appalachi, dove trascorreva molto tempo girovagando nei boschi ad inventare canzoni. Il suo insegnante d’arte al liceo, Phil Jones, ha contribuito ad alimentare la passione di Caudle per la musica permettendogli di portare la chitarra in classe per esercitarsi. Il tema della libertà è il filo conduttore di tutto l’album dove ci ricorda che se vogliamo i diritti e i privilegi che pensiamo di avere, è meglio sbrigarci e assicurarci di ottenerli. Tocca anche la sua vita esaminando gli errori del passato e le modifiche che avrebbe voluto poter fare ed inserendo alcune frecciatine alla politica. 

Lo stile dei suoi primi dischi era quello scarno tipico di un cantautore, Crushed Coins di due anni fa era invece un disco di Americana. Better Hurry Up si colloca esattamente al centro risultando essere a mio parere, il suo miglior disco fino ad oggi. La capacità di Caudle di dipingere dei quadri sonori è innata, la sua voce “terrosa” rende tutto ancora più graffiante ed accattivante.

Si spazia dai tratteggi funky e soul della title-track, al blues di Call It a Day passando per il country di Regular Riot… temi fondamentali che si ripetono attraversando tutte le 11 canzoni con una semplicità e naturalezza disarmante. I nostri sembrano così rapiti dalla magia della cabina che ad ascoltarli sembra proprio di trovarsi lì in mezzo a loro, come un gruppo di amici che si ritrova a suonare sul front porch di quel luogo incantato chiamato Cash Cabin!

Gethen Jenkins – Western Gold

Questa è ancora la musica che ascolto oggi, è la musica con cui sono cresciuto e nonostante tutto quello che ho ascoltato negli anni, questa è la musica su cui torno sempre perché è l’unica a farmi sentire bene!

Gethen Jenkins è originario del West Virginia ma è cresciuto in Alaska. Ha prestato servizio nel corpo dei Marines per otto anni in Iraq. Mentre era impegnato nelle zone di guerra maturò la decisione che, una volta ritornato in patria, avrebbe convertito la sua passione per la musica country in una professione. Rimesso piede sul suolo statunitense, ha scelto di stabilire la sua base operativa in south California.
Gethen non è certamente nuovo sulla scena. Ha sulle spalle più di 1.000 tra concerti e opening-act, ma Western Gold è il suo vero e proprio esordio discografico grazie al quale appone di diritto il suo nome sulla bacheca del movimento dell’outlaw-country.
Jenkins aveva pubblicato un EP nel 2017 intitolato Where The Honky Tonk Belongs, un disco ancora un po’ acerbo ma un degno aperitivo, di ciò che troviamo su Western Gold.
In tanti negli anni hanno decretato più volte la definitiva scomparsa dell’outlaw-country ma per nostra fortuna, ci sono ancora tanti musicisti che, con mia immensa soddisfazione, portano avanti questa musica, costruita principalmente su canzoni sul bere, sulle sconfitte e sul dolore, temi tipici di una società puritana dove commetti un peccato e l’istante dopo ti senti colpevole e cerchi di dimenticare scolando una bottiglia di whiskey. Queste sono le storie nascoste sotto la barba di Gethen, canzoni per anime inquiete che non riescono a trovare pace. Ascoltare la canzone di apertura Bottle in My Hand mi riporta immediatamente il cuore e la mente a Waylon Jennings. in Heartache Time canta ”Non riesco a sentire il mio cuore. Non riesco a trovare la mia mente” mentre in Whiskey Bound dimostra come il whiskey sia una ottima soluzione per scacciare i problemi almeno fino a quando non finiscono gli effetti e tutto torna prepotentemente a galla. In Restless Ways tratta della vita sulla strada. e canta: “Non riesco a trovare la fine dei miei modi irrequieti”.
Western Gold è un grande disco, impreziosito dai bellissimi arrangiamenti e dall’eccellente produzione di Vance Powell, sei volte vincitore del Grammy, conosciuto dai fans dei due generi per aver lavorato come ingegnere del suono nel tour di Chris Stapleton.
Gethen Jenkins ha scritto o co-firmato tutte le canzoni del disco. Chris Powell alla batteria, Leroy Powell allla chitarra, David Gilliard al basso, Michael Webb alla tastiera e Dan Dugmore alla steel, sono un imponente muro sonoro. Western Gold è proprio un gran bel disco, ha quel suono autentico delle radici ed ha legami sia con il sud degli Appalachi, sia con il profondo west. Un album come Western Gold di Gethen Jenkins non è solo uno dei miei album preferiti, ma mi ha fatto scoprire anche uno dei miei artisti preferiti. 

Jordan Miller Sound – Mountain Side River Dream

Jordan è nato in una piccola città rurale a sud di Tallahassee, in Florida, è stato cresciuto da genitori divorziati e questo ha ha contribuito a farlo sentire circondato dalla famiglia allargata, dalla nonna paterna e dai nonni materni che hanno contribuito a fargli conoscere la musica country. Fin dalla sua prima infanzia suo nonno, che era un collaudatore di banjo, ogni domenica mattina prima della messa, suonava Foggy Mountain Breakdown o Blue Moon of Kentucky. Il banjo è parte fondamentale delle sue canzoni come in quella di apertura The River Bend. A 24 anni, Jordan è stato in carcere, dopo aver perso, prima lo zio, che aveva solo 3 anni più di lui (incidente sul lavoro) e due anni dopo, il cugino di 2 anni più giovane (incidente stradale).

Alla fine del 2016, Jordan si è sposato, continuando a vivere nello stesso posto in cui era nato, questo lo faceva sentire ii gabbia così un giorno si è svegliato e ha detto a sua moglie che era arrivato il momento di cambiare aria, hanno venduto la casa e si sono trasferiti a Nashville dove ha pubblicato il suo primo EP intitolato Sounds composto da 4 brani che aveva scritto nel corso degli anni. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo progetto integrale, Mountain Side River Dream.

Con un’anima da Hobo e un cuore appesantito dal dolore, Jordan Miller, oramai alla soglia dei 30 anni, ha tante storie da raccontare e lo fa con uno stile da storytelling sulla tradizione della musica dei cantautori del Tennessee, portando l’ascoltatore in un viaggio che potrebbe non aver ancora viaggiato.

La melodia è appoggiata sulla sua chitarra, e prende vita grazie agli Highway Natives, la band che ha costituito nel 2018 insieme a  Brandon Moore. Non solo country, oltre al banjo, al violino e ci sono chitarre elettriche e una sezione ritmica pulsante che porta il suono di Wrong Things sul pianeta “Americana” lasciando però la linea melodica legata sempre allo spirito del cantautore. Un disco fatto di storie che toccano il cuore e canzoni che riscaldano l’anima, ascoltare Any Ol Sky o Texas and Me regala un incredibile senso di libertà è come librarsi liberi in un immenso cielo blù.

Hill Country – Hill Country

Nella lunga tradizione dei “supergruppi texani”, dopo il recente esordio di The Panehandlers un altra band di grandi musicisti si affaccia sulla scena musicale country del texas: sono gli Hill Country

Il frontman Zane Williams, è una vecchia conoscenza del Country Bunker con ben 7 album da solista alle sue spalle che ad un certo punto della sua carriera, ha deciso che fosse arrivato il momento di espandere il proprio spettro musicale. Ha chiamato così all’appello il collega Paul Eason anch’egli con 3 album all’attivo e un passato da chitarrista solista per la leggenda del Texas-Country Kevin Fowler, che probabilmente, stanco di fare il side-man ha subito accettato l’idea di poter far parte di un progetto che lo vedeva eletto tra i protagonisti. Alla batteria è stato interpellato Lyndon Hughes, in grado di dare oltre alla parte ritmica una voce in più al gruppo e mettere al servizio della band la la sua esperienza di ingegneria e produzione maturata negli anni avendo lavorato tra gli altri con artisti come: Cody Johnson, Sundance Head, Roger Creager 

Con gli inserimenti del polistrumentista e cantante Andy Rogers (banjo, dobro, mandolino e chitarra) e di Sean Rodriguez al basso e alla voce, l’esclusiva miscela vocale della band si è solidificata e concretizzata dopo una sola jam session estemporanea in una sala prove presa in affitto dove hanno capito immediatamente che la chimica tra di loro era perfetta.

Il sound abbraccia entrambi i generi musicali del country, il bluegrass, il folk e il rock acustico. Una delle meraviglie del disco è ascoltare le armonie delle 5 voci che si intrecciano, si sovrappongono, si amalgamano alla perfezione. La qualità del  songwriting e il talento musicale sembra emergere senza alcun sforzo, con semplicità, naturalezza e potenza come fossero una band che ha calcato palchi per 20 anni ma non è stato affatto così visto che il loro primo incontro è stato proprio in quella Jam nell’estate del 2019. Le alchimie musicali, come quelle nella vita quotidiana a volte emergono per caso, probabilmente è la fiducia, il sentirsi accolti e rispettati che fa si che una band possa tirare fuori il meglio sia individualmente che singolarmente esplodendo un un suono così perfetto e compatto che stupisce fin dal primo ascolto.

Il disco, registrato tra Austin e Houston durante un periodo di undici mesi, ha visto la luce nel Maggio 2020. Hill Country può essere una regione collinare del Texas, delle colline del Tennessee, della California, del North Carolina o dell’Alabama, il termine “Hill Country” è universale come la musica contenuta all’interno del disco che ci porta in un viaggio attraverso dodici brani (tutti originali arrangiati, prodotti ed eseguiti dagli stessi membri della band) che hanno il sapore di Band che hanno fatto la storia della musica. River Roll con le sue tre chitarre acustiche e ricorda gli anni ’70 di The Band e James Taylor. The Eagle è un classico sostenuto da toccanti armonie vocali su un letto di dobro, mandolino e chitarra. Palomino Gold (tra le mie preferite) è una indolente ballata che evoca enormi spazi e cieli blu nei quali perdersi con l’immaginazione sulle note di una liquida steel gustar che scorre lenta, come un fiume, lungo tutta la canzone. Work to Do e Company Man portano i sapori e i colori del tipico texas-country la prima con quella chitarra elettrica che si intreccia col dobro si concentra sul sound degli ’80, la seconda, più moderna, abbraccia il mood delle nuove generazioni. Atmosfere tex-mex per Adios mentre la successiva Evergreen è una canzone tipicamente bluegrass ma con l’aggiunta della batteria. Hey Susanna ha una connotazione alt-country chitarra con un filo di distorsore ma sempre con le armonie vocali ad impreziosire il tutto. Dixie Darlin racconta di un amore perduto nello stile e incedere più classico del troubadour. The Last Dance è uno di quei lenti da ballroom imprescindibili. In Janie Lynn sono ancora le voci le protagoniste assolute fino all’arrivo del banjo che si lancia in una lunga cavalcata portandoci nel profondo west! La conclusiva Somewhere Down the Road è pura “americana” e racchiude il messaggio che la Band è legata alla storia, alle tradizioni qualunque esse siano purché oneste e genuine. I territori geografici e musicali esplorati nel disco sono tanti ma tutti hanno una radice comune, un profondo amore per la loro terra e la loro musica che più che mai in questo caso, sento fortemente anche mia.

Roger Street Freidman – Rise

Adoro le storie di vita e di musica, di come gli eventi possano condurre alle più incredibili scelte per ogni qualsiasi motivo, Roger Street Freidman è una di quelle storie, ha 54 anni, è marito e padre di due figli, da bambino suonava musica e gli piaceva registrare le canzoni in un piccolo studio che si era costruito con i pochi strumenti a disposizione. Una passione accantonata perché fino al 2014, ha lavorato nel settore della vendita al dettaglio insieme allo zio per circa 25 anni.  Fu solo dopo la perdita di suo padre nel 2004 e di sua madre nel 2006 e successiva nascita di sua figlia sempre nel 2006, che l’ispirazione per scrivere testi e comporre musica ritornò prepotentemente dentro di lui. Arrivato ai 50 anni, dopo aver perso i genitori si incomincia a vedere che anche i propri amici e gli affetti costruiti potrebbero lasciare questo mondo da un momento all’altro e ci si rende conto di non avere più tanto tempo da perdere. In seguito a questi pensieri, Friedman ha preso la coraggiosa decisione di lasciare il lavoro per dedicarsi alla musica a tempo pieno.

Arrivò quindi il debutto del 2014 The Waiting Sky seguito nel 2017 da Shoot the Moon. In questo suo terzo album, Rise, prodotto dal vincitore del Grammy e collaboratore di lunga data di Levon Helm, Larry Campbell, è tornato più appassionato e impegnato che mai. Le strade di e Campbell si sono incrociate quando quest’ultimo ha suonato in The Waiting Sky. Alla fine di una sessione di prove, mentre Friedman lo stava aiutando a trasportare i suoi strumenti in macchina, Campbell gli disse che scriveva davvero delle belle canzoni e che aveva qualcosa da dire col cuore. L’incoraggiamento di Campbell lo colpì a tal punto che i due rimasero in contatto, così dopo aver ascoltato le oltre 30 canzoni che gli aveva inviato, Campbell accettò di produrre RISE.

In queste 12 canzoni di Rise, 7 delle quali scritte in collaborazione con artisti della scena di Nashville (Mike Gray, Steve Lester, Michael August, Matt Willis, Mark Baxter, Hunter Tynan Davis, Elliot Bronson, Alice Lankford e Jimbo Martin e Campbeli), Friedman cerca di andare ancora più in profondità, cercando davvero di arrivare al nocciolo della questione. Le canzoni arrivano direttamente dalla pancia e dal cuore e ci portano ad empatizzare completamente con i loro personaggi, sia che si tratti del veterano del Vietnam di The War is Already Over, sia delle domande della casalinga sulla sua vita in Over and Over. 

In tutto l’album c’è un realismo disarmante, una immediatezza e una urgenza di domande e di risposte, le canzoni sono prive di arrangiamenti sofisticati e vanno dirette al suono americana, la volontà dell’artista è stata quella di portare le canzoni a  mettere in risalto il più possibile il songwriting, lasciando ampi spazi alle storie ed alle emozioni facendo in modo che la musica facesse da colonna sonora a tutto.

Rise alla fine non è altro che una dichiarazione di intenti di un cantautore che sembra essere un a pietra miliare della sua carriera… almeno fino al prossimo disco perché Friedman dice di avere già pronti altri due album.

Fireside Collective – Elements

Asheville è una città incastonata nelle Blue Ridge Mountains al confine tra Tennessee e North Carolina dove si è sempre mantenuta viva una scena musicale underground,  ma è solo negli ultimi 20 anni che è salita alla ribalta come una vera città musicale alla pari di Austin e Nashville. 

La città è piena di locali, di club dal The Orange Peel, alla Grey Eagle, all’Asheville Music Hall e costellata di bar, brewery e pub nei quali la gente si assiepa all’interno e sul marciapiede per ascoltare musica live e bere una birra. I buskers occupano ogni angolo delle delle strade. Ci sono echi di rock, di hip-hop e di elettronica ma sono l’Americana e il Bluegrass i due generi che regnano sovrani. 

Asheville è una città culturalmente viva e fatta da persone che l’hanno resa bella e vivibile. È un luogo in cui hippies, freaks e ambientalisti convinti, hanno trovato il luogo adatto in cui vivere ascoltando la musica bluegrass.

Asheville ospita anche lo studio Echo Mountain Recording, costruito nel 2003 da Steve Wilmans che, lasciò la California per trasferirsi sulle montagne del West North Carolina e realizzare lì il suo studio dei sogni. Ha trovato il posto perfetto in una vecchia chiesa poco fuori dal centro di Asheville dove ha allestito uno studio di registrazione all’avanguardia preservando quanto più possibile l’arredamento originale. L’acustica incontaminata di Echo Mountain lo ha reso uno studio di registrazione tra i più desiderati, tra i gruppi e i cantanti Statunitensi, questa enorme richiesta ha portato ovviamente a tempi di attesa lunghissimi. War on Drugs, White Denim, Zac Brown Band, Blackberry Smoke, Turnpike Troubadours e Dierks Bentley sono tra quelli che insieme alle band del luogo: Steep Canyon Rangers, The Avett Brothers, Town Mountain, River Whyless, Rising Appalachia e Marcus King Band e naturalmente il sindaco onorario di Asheville, Warren Haynes, hanno registrato lì almeno un disco.

Da Asheville provengono i Fireside Collective una string-band di 5 elementi emersa con prepotenza cinque anni fa vincendo il Band Contest del 2016 al MerleFest. Definire il loro sound Progressive Bluegrass è limitativo, i 5 ragazzi uniscono la caratteristica strumentazione bluegrass e le loro armonie vocali al folk, al blues, al funk e per creare un suono distintivo proprio.

Ogni membro: Joe Cicero (chitarra); Alex Genova (banjo); Jesse Iaquinto (mandolino); Tommy Maher (chitarra resofonica) e Carson White (contrabbasso) porta un contributo unico. La loro musica può apparire sia molto tradizionale quanto progressive, Quello che stanno facendo è semplicemente portare il classico suono del bluegrass a esplorare nuovi territori musicali, 

Bluegrass, Newgrass, o folk progressive” comunque la si chiami, la musica dei Fireside Collective è una esplosione di suoni e di colori capace di coinvolgere e trascinare chiunque se ne avvicini.

La band ha esordito nel 2014 con Shadows and Dreams. Nel 2017 hanno pubblicato il loro secondo album in studio, Life Between the Lines grazie al quale hanno ottenuto una nomination per l’IBMA momentum award come migliore band.

Nel 2020 esce Elements, prodotto da Travis Book (Infamous Stringdusters), che conferma quel suono particolare prerogativa esclusiva dei Fireside Collective.

Si dice che il modo migliore per testare l’efficacia della musica bluegrass sia suonarla dal vivo. Raramente si riesce a trasportare l’energia propria di un live all’interno di un album, registrato in studio. Elements, ricrea quell’intensità e quella sensazione di pressione sonora che arriva dal palco durante un concerto live che colpisce diretta allo stomaco. L’album si apre proprio con il momento che precede una qualunque esibizione live… Intro è l’accordatura degli strumenti. L’album inizia quindi dalla seconda traccia Winding Road tipicamente bluegrass che ha il merito, come gran parte delle canzoni contenute nel disco, di far venire voglia di ballare e dimenticare  le preoccupazioni. Tutti i brani esaltano le doti vocali e strumentali di tutti e 5 i componenti della band che si alternano alla guida in impressionanti jam offrendo una serie incredibile di cambi di tempo, di ritmo e di dinamica. Elements rimane un disco bluegrass ma è il bluegrass di Fireside Collective che aggiungono la loro visione moderna a questo genere che grazie anche a loro riesce ad abbracciare  un pubblico sempre
più ampio ed eterogeneo.

Alex Dunn – Scattered Poems

Seattle, è salita alle cronache negli anni ’90 per essere stata il cuore del movimento Grunge e quindi potrebbe non essere la prima città che viene in mente parlando di country. Il 17 luglio 1897, la nave a vapore Portland attraccò a Seattle da St Michael, in Alaska, trasportando 68 cercatori che a detta dei giornali del tempo, trasportavano “una tonnellata d’oro“. In breve a quelle poche centinaia di cercatori che salpavano da Seattle ogni settimana, se ne aggiunsero migliaia provenienti da ogni luogo degli States, tutti diretti lungo un remoto fiume nello Yukon  (oggi territorio del Canada). La corsa all’oro del Klondike era iniziata e con essa arrivarono a Seattle un melting-pot di culture, di tradizioni e di musica e con esse il country!

Costretto ad una riorganizzazione forzata di Music (il programma di Apple che uso da 14 anni per acquistare e programmare musica) che mi sta obbligando a ricostruire metà della mia libreria andata perduta di punto in bianco per non so quale motivo,  fortuna ha voluto che mi tornasse in mano per caso Scattered Poems di Alex Dunn del 2018.

Dunn ha studiato violoncello e flauto alle elementari, al college suonava il basso in una band con il batterista Alex Westcoat, Sam Esecson (produttore e ingegnere di Scattered Poems) e Colby Sander (dobro, chitarra elettrica su Scattered Poems). Terminati gli studi, Dunn si è imbarcato per 10 anni su un peschereccio commerciale di salmoni nel mare dell’Alaska. 

Per riempire le lunghe giornate di viaggio, ha imparato a suonare la chitarra, lo faceva seduto su un’ancora mentre navigava in aree remote del sud-est dell’Alaska, la maggior parte delle canzoni di Scattered Poems sono state quindi scritte a bordo della nave negli ultimi sei anni.

Quando rientrava in porto correva nello studio dell’amico Sam Esecson  situato in un seminterrato nel quartiere di Ballard (il Fishermen’s Terminal nell’Interbay di Ballard che ospita centinaia di barche da pesca compresa quella nella quale Dunn era parte dell’equipaggio).

Scattered Poems, come racconta Dunn è un disco d’’amore”, amore per la madre, per la nonna, amore per la famiglia, amore per gli amanti, amore non corrisposto e amore puramente per amore. Sulla sua stracca per reggere la chitarra è riportata una frase di sua madre “amare ed essere amati è tutto ciò che c’è veramente 

Scattered Poems è un disco senza tempo, le sue canzoni potrebbero sembrare quelle tramandate da generazioni dai tempi della Gold Rush ai giorni nostri, la scrittura è semplice e proprio per questo mi affascina per la qualità e lo stile compositivo proprio della grande tradizione di musica Americana. Scattered Poems è un disco meraviglioso a partire da Colorado Lines una storia di amore, di desiderio e di redenzione dove si respira la nostalgia sulla linea musicale imposta dal violino e dal banjo sostenuti da un incalzante rullante che ricrea molto bene il senso del viaggio. Dear Mama evoca spazi infiniti, quelli che Alex trova in Colorado e Wyoming, una classica western song con un dobro a tracciarne le linee.  Scattered Poems sostenuta dal banjo che trova conforto nel fiddle è vagamente bluegrass. Will you be  incrocia l honky tonk e racconta delle sensazioni che si provano per un amore non corrisposto che trovano corrispondenza nella languida splendida pedal steel. Rattlesnake Bush è giocata tutta sulle chitarre alza il ritmo ma il sapore della country-ballad rimane. East Of The Hills presenta tutti gli elementi di una grande western-song, pedal steel, fiddle e la voce da troubadour di Alex. Norma è un up-tempo. One Step Away ha il sapore del country californiano con una buona dose di Bakersfield sound. Le ultime 4 canzoni sono intime ballate, che hanno come atto finale la toccante This All Goes Away.

Non credo si possa pretendere di più da un disco, Scattered Poems arriva dritto al cuore, 13 meravigliose canzoni scritte con l’animo puro di un grande cantautore dei tempi moderni che raccoglie l’eredità del passato, la sua storia, i sentimenti riproponendoli in maniera disarmante mettendo allo scoperto la sua grande anima regalandoci boccate d’aria salmastra,  uno sguardo ai grandi cieli blu e sconfinate praterie nelle quali perdersi con le note di questo strepitoso disco. Ascoltatelo e non potrete più farne a meno.

Barbaro – Dressed in Roses

Barbaro è una string band che suona insieme da meno di due anni ma che in questo breve lasso di tempo si è già ricavata un posto di rilievo nella scena bluegrass del Midwest muovendosi oltre i limiti del genere e mescolando al loro suono sonorità newgrass, country, jazz e irish rappresentando alla perfezione una precisa identità folk americana. 

La scena musicale di Minneapolis è storicamente legata al punk rock (Husker Dü, The Replacements, Soul Asylum) ma nello stato c’è anche una forte identità folk data forse anche dal fatto che sia il luogo di nascita di Bob Dylan. Finita quindi l’era delle hardcore band, che hanno visto il tramonto all’alba degli anni ’90, è riemerso lo spirito folk/old-time che ha portato una vera rinascita del bluegrass come dimostrano i 1000 e più associati a www.minnesotabluegrass.org.

il 2018 è stato un grande anno per il quartetto di Minneapolis-Winona. Ha vinto il John Hartford Memorial Festival Band Contest e il Minnesota Bluegrass Roots Band Contest e pubblicato il loro primo EP. Il loro suono è particolare e si distingue nella comunità bluegrass perché ogni componente della band ha portato tutta la propria gamma di influenze musicali e la magia e nonostante questo il suono che ne scaturisce è sorprendente perché decreta una incredibile unità e coesione collettiva.

Dressed In Roses contiene 10 canzoni, che includono, assoli di violino, cavalcate di banjo e una voglia incontrollabile di giocare con i suoni dai più ricercati ai più classici.

Un gioiello dell’album è la canzone sul purosangue Barbaro che nel 2006, due settimane dopo aver vinto  il Kentucky Derby si ruppe una zampa. È una storia tanto bella e commovente quanto tragica sulla prematura perdita di una vita e risulta essere un suggerimento a vivere la vita al massimo e rendere ogni occasione importante.

Mississippi Thunder Speedway è l’unica traccia strumentale dell’album, il titolo annuncia la corsa tra il basso di Jason, il violino di Rachel, il banjo di Isaac e la chitarra di Kyle Shelstad (ex Kitchen Dwellers) che viaggiano a velocità davvero ultrasoniche.

Le canzoni del disco si muovono in tante direzioni diverse, c’è un’idea principale sulla quale però la melodia cambia in corsa, si incrocia, ritorna, rimbalza, riparte, abbraccia note e a volte ritmi non propriamente bluegrass ma alla fine arriva dove si era pensato dovesse arrivare ed è qui tutta la bellezza e la freschezza del suono di Barbaro. Ogni loro canzone è un viaggio, una scoperta, una sorpresa dopo l’altra, è come se invece di imboccare l’autostrada per arrivare diretti all’arrivo si percorressero strade secondarie, attraversando la campagna, su e giù per le colline, passando per i vicoli cittadini, fino ad arrivare al mare. Una esplosione di musica e di suoni, un disco da avere e soprattutto da ascoltare… e non siamo che all’inizio!!!