Carpe diem!
Sabato pomeriggio, ho un paio di dischi che vorrei ascoltare questo ad esempio, ne parlano tutti anche RootsHighway si chiama… si chiama…!? Kurt Veill (ah no quella è un’altra storia!) Assopito all’ombra del mio nuovo gazebo, le canzoni di Kurt Vile (che si pronuncia come quell’altro) mi scorrono sul corpo come una taumaturgica acqua benefica e lasciano libero sfogo ai pensieri più scrausi. Mi chiedo se sia pop o rock o lo-fi… ma perchè fermare la mia mente per sprecare il tempo ad incasellare una musica che a tratti mi ricorda Lou Reed a tratti i Beach Boys ma anche James Masics…??? é primavera, è tiepido, sto bene e non penso a niente, sento addirittura odore di rose, ho un sorriso ebete stampato sul volto e la leggerezza di Smoke ring for my halo ha lo stesso effetto su di me dei fiori di loto! Dovrei ritrarmi davanti ad una proposta musicale quasi commerciale!!!? si sento di doverlo fare… eppure… se a 47 anni mi diverto ancora a giocare con i lego perchè dovrei vergognarmi di dire che questo disco mi fa stare bene? Kurt Vile santo subito!!! ecchissenefrega di tutto il resto?! dovrei mantenere un atteggiamento distaccato ma una canzone dopo l’altra mi sento sempre più avvolto dalle loro trame melodiche suadenti e perfide… si vabbè… di roba così ne ho sentita a cariolate ora cambio!… poi arriva Runner ups… ancora un minutino ahhhhhh!!! sarà il dopopranzo, la brezzolina leggera che mi solletica, il materasso morbido… ma mi sento cullato, coccolato, rassicurato… ecco si, mi faccio una zighi… ecco si! sento l’ultima poi metto qualcos’altro… ecco si!… In my time…. ripiombo in stato catatonico, non ho più voglia di lottare… mi abbandono a questo mio stato di leggerezza dell’essere e mando a cagare tutto il resto! Ho abbassato le difese, sono in balia di questo ragazzotto di Philadelphia (dove non sono stato ma lì ci giocava, con il numero 6, Doctor J, alias Julius Erving, il mio idolo di sempre, in materia di basket) e Ghost Town mi trova impreparato, come un bambino per la prima volta a cospetto dell’oceano… e allora vai di loop… perchè voglio inabissarmi totalmente nell’oblio, in questo pomeriggio di maggio, assuefatto e ammansito da KurtVile… domani chissà.. forse il disco resterà sull’iPhone 15 giorni e poi me ne dimenticherò per poi eliminarlo dovendo far spazio ad altre cose.. ma anche no, perchè forse sarò ancora qui, drogato e intontito da Smoke ring for my halo. Per ora… colgo l’attimo e torno a smarrirmi tra i meandri della mia mente e tra i miei sogni in un vivifico stato di torpore generalizzato!!!
Hot Tuna: Steady As She Goes
Nothing would ever, ever come to woe;
But that’s all gone now and I don’t worry;
What’s the future for me and my friends;
Well, I just don’t know.
In Ode for billy dean nel 1972, Jorma Kaukonen vergava nero su bianco questa profezia ed oggi, a 41 anni dal primo disco in studio e a 21 dall’ultimo, gli Hot Tuna tornano a regalarcene un’altro!
Quando ho visto Hot Tuna ho pensato: alè ai sém! sarà un nuovo live o una nuova raccolta… vabbè!!! Ma sono curioso come Ulisse (non l’omerico eroe ma il delfino) e con grande “intuito” mi sono accorto subito dalla preview di Angel of darkness che invece si trattava di un disco nuovo. Non posso dire che è un gran disco ma che sia buono… beh!!! questo è indubbio! Jorma Kaukonen (voce e chitarra) e Jack Casady (basso) garantiscono la solidità e la continuità, Barry Mitterhoff (mandolino) e Skoota Warner (batteria) e la produzione di Larry Campbell danno la quadratura del cerchio per un grande ritorno! Questi anziani signori non hanno mai smesso di suonare… e si sente!!! e tra riletture e brani originali quello prodotto è un ottimo risultato, solido roots-blues, bei suoni e grande impatto sonoro e per me, che a volte cado in nostalgiche crisi mistico-musicali, questo Steady As She Goes non rappresenta un ritorno al passato ma un fresco refolo di buona musica che allieterà per un po’ le mie giornate ed arricchirà le mie playlist quotidiane!
Israel Nash Gripka: Barn Doors and Concrete Floors
Un viaggio in Israel
Questi sono i fatti. Ottobre 2009, Israel insieme a Ted Young sorseggiano birra ed ascoltano i vinili che Israel ha portato con sè dopo un tour in Europa, tra una battuta e l’altra nasce l’idea di registrare un nuovo disco attrezzando un granaio a studio di registrazione, prima di aprire l’ultima “BUD” decidono di riporla in un armadio e di berla a progetto terminato. In menchenonsidica acquistano tramite un annuncio sul giornale un granaio a Catskill Mountain (Albany nello stato di New York) e qui insieme a Steve Shelley (Sonic Youth), Joey McClellan (Midlake/The Fieros), Eric Swanson, Aaron McClellan (The Fieros), Brendon Anthony, Jason Crosby, and Rich Hinman in 8 mesi, tra bagni nel fiume e falò, registrano il disco grazie “all’umile opera ingegneristica” di Ted Young (Gaslight Anthem/Kurt Vile). Read More “Israel Nash Gripka: Barn Doors and Concrete Floors”
Il gatto rock
C’era una volta un gatto che apparteneva a una rock band e a forza di sentire concerti ne fa uno anche lui, si fa una band tutta sua. Dopo però un anziano grida: «Fate schifo! buuuuu». Ma il gatto rock ha un asso nella manica, spacca la chitarra e dentro c’è una spada e il vecchietto scappa a gambe levate e il gatto rock vive felice e contento.
Federico Guerra (my son)
Okkervil river: I am very far
Odi et amo
Ascoltando l’iniziale The valley e la successiva Piratess sono già in paradiso, sound anni ’80 batteria, tastiere, archi, fiati… insomma un tripudio vintage, che visto il mio amore sviscerato per la musica di quegli anni mi cattura e mi fa impazzire!!! Poi colto da dubbi spingo il tasto “HOME” del mio iPhone per controllare di non aver sbagliato disco… no no!!! sono proprio gli Okkervil River, già ne ero attirato ma non era mai scoccata la scintilla della passione, ora ne ho una cotta e li amo perdutamente!!! Insomma è stato come accorgermi che quella mia amica di vecchia data ora che si è tagliata i capelli, ha cambiato modo di vestirsi e di comportarsi mi piace e tanto!!! Dico subito che per chi tra voi, amiche ed amici delle backstreets che coraggiosamente mi leggete, è legato al suono della band e soprattutto a Down The River of Golden Dreams, loro splendido secondo album, ascoltando questo I am very far storcerete alquanto il naso, il suono è cambiato Will Sheff ha dato una svolta al sound, al suo stile compositivo ed al lavoro in studio. Il disco risulta “altro” rispetto al passato. Rider è epica, una cavalcata rock verso terre inesplorate (in continuo loop in cuffia) e poi la successiva splendida ballad Lay of the last survivor (quanto di più vicino al “vecchio sound”) chiude un pokerissimo di songs che da solo, per me, è valso l’acquisto! L’atmosfera è quanto mai “sinfonica”, molti direbbero barocca, io l’adoro così ricca, a volte rindondante e nello stesso tempo indispensabile per queste canzoni. Un grande dispiego di forze, 14 musicisti, (due batterie, due bassi, due piano e sette chitarre) e di accorgimenti musicali (vedi l’uso della carta di giornale come base percussiva). Un disco di impatto emotivo e sonoro dove ho sbattuto il muso nel muro musicale creato da Will Sheff che sembra dirci che gli Okkervil, quelli che conoscevamo, sono dietro, ora, per segurli, dobbiamo scavalcare questa parete che per chi desiderava i suoni rarefatti, sgangherati dei precedenti dischi è un limite invalicabile, per chi invece è pronto ad alzare il volume dei riproduttori a livelli di decibel oltre la soglia consueta, diventa una vera e propria liberazione.. ed io l’ho fatto ed ora sono liberoooooo. Da tiepido estimatore della band mi ritrovo ad essere completamente rapito, assoggettato, ricattato e grato a Will Sheff per questo piccolo capolavoro! Uno dei dischi più belli dell’anno o forse tra i più deludenti, insomma, un disco da “odi et amo”, se ne dibatterà a lungo ma, personalmente, ascolto dopo ascolto I am very far è diventato il mio compagno inseparabile la grandezza e il coraggio di Will Sheff sono tutti nell’aver saputo seguire il flusso delle note e delle emozioni che devono averlo invaso, quando in testa gli frullavano suoni diversi per dirlo in una parola… catartico!
Ben Harper: Give till it’s gone
Zero Tituli!!!
La voce è sempre la stessa, l’incedere elegante e la scrittura fluida (troppo fluida), le canzoni sono belle eppure…. è come se mancasse qualcosa… si ma che cosa?… si ecco manca Ben Harper!!! C’è molta buona musica in questo disco, c’è del pop, del rock, un pizzico di Neil Young, qualche Jackson Browne, Ringo Starr Q.B. e una manciata di rock ’70 ma il tutto risulta insipido, insapore come un vino dall’odore esagerato che quando passa in bocca non lascia traccia… dov’è il Ben Harper che conosciamo? quello della steel guitar? quello che ci faceva rimanere in tensione per un intero brano, quello che sapeva regalare emozioni attraverso ballate straordinarie? dove sono il soul, il funk, il blues? quel groove del tutto personale e particolare che il nostro aveva creato miscelando tanti ingredienti della musica dei padri (neri e bianchi che siano)? non cerco un altro Fight for your mind, ma di rivivere quelle emozioni, si, a Ben Harper mi sento proprio di chiederglielo. Comprerò Give till it’s gone, come ho comperato i 9 precedenti più gli affini, lo ascolterò, lo passerò in radio, inserirò Rock N’ Roll Is Free nella mia playlist estiva da tenere in auto poi probabilmente non ne avrò più ricordo, uscirà dagli aggiunti di recente e creando playlist per le Backstreets passerà sotto i miei occhi senza provocare moti di trascinamento della traccia. Give till it’s gone è un bel disco con tante belle canzoni, ma zero emozioni, vale l’acquisto per la qualità ma non aspettate di trovarci il Ben Harper che conosciamo!!!
Owen Temple: Mountain Home
L’amo, non l’amo…. l’inconsapevole leggerezza nello scrivere….
Come la musica colpisca diversamente gli animi delle persone è un mistero inviolabile, le alchimie sono differenti per ognuno dei 7 miliardi di donne e uomini della terra, per questo non metto sotto processo i giornalisti che si occupano di musica perchè le sensibilità di ognuno sono differenti, ma penso che ad essere giudicato debba essere il disco e non le intenzioni o i progressi degli autori. Un artista lontano dalle pressioni delle major, esce con un disco quando lo “sente pronto” perchè attraverso la sua musica vuole comunicare qualcosa. Owen Temple è un onesto e generoso musicista texano, tanto generoso da donare il 100% del ricavato delle vendite di Mountain Home, se acquistato per entro il 19 maggio attraverso il suo website, alla Jeff Davis County Relief Fund and to the State of Texas Agriculture Relief Fund! Mountain home è il suo sesto disco ed è un bel disco! Registrato e prodotto da Gabe Rhodes, si avvale del contributo di Charlie Sexton al basso ed alla baritone guitar, Bukka Allen alle tastiere, Tommy Spurlock alla pedal steel e Rick Richards alla batteria. Le canzoni sono scritte da Temple e in cooperazione con Adam Carroll, Scott Nolan e Gordy Quist (di the Band of Heathens). Atmosfere folk, blues, and bluegrass per 10 brani totali che ci regalano abbondanti 30 minuti di buona musica dove a risaltare non sono alcune song in particolare ma l’omogeneità dei suoni e a trionfare è la buona musica! Fino a 20 anni fa eravamo a conoscenza a malapena del 10% della produzione musicale statunitense, ciò che ci arrivava tra le mani era la “prima scelta” già filtrata e selezionata, ora che possiamo arrivare a conoscere l’80% del prodotto interno lordo della musica made in U.S.A. dobbiamo anche renderci conto che di dischi straordinari ne usciranno 10 l’anno per il restante ognuno giudichi non cercando tra le tracce la hit o il grande pezzo ma la passione e l’amore per la musica che personaggi come il nostro Owen Temple riescono ancora a trasmetterci con dischi come questo Mountain Home!
LOWLANDS: Gipsy Child
Tornano i LOWLANDS e lo fanno dando prova in questo secondo lavoro (e mezzo) di grande crescita. L’album si intitola Gipsy Child, e già il titolo è meraviglioso! Molti dei brani di questo disco erano già circolati nei live della band ed erano la punta di un iceberg musicale sommerso che ha finalmente trovato la luce in questo nuovo, attesissimo disco. I suoni ruvidi e spigolosi che rendevano The last call una grande opera prima, trovano ora il loro compimento che è il risultato di un grande lavoro svolto sul palco, in sala prove e in studio. L’amalgama tra i ragazzi è cresciuta a dismisura, la chimica è quella giusta e la band si muove all’unisono, ognuno sa sempre cosa fare e quando farlo e la cosa più bella, che esce immediatamente dai primi accordi dell’iniziale Gipsy CHild, è il grande entusiasmo che il gruppo riesce a trasmettere, insomma, non si finirebbe mai di ascoltarli per quanto riescono a coinvolgere l’ascoltatore, anche più passivo, e trascinarlo dentro il loro mondo musicale. Già, un mondo pieno di storie, di emozioni e di sensazioni sempre nuove, fresche come la rugiada del mattino ed immediate come un primo bacio. Grandi collaborazioni all’interno degli 11 brani sapientemente orchestrati da Chris Cacavas, ma a far grande il disco è la qualità e la forza delle canzoni, ognuna è un piccolo gioiello che insieme alle altre va a formare uno dei regali musicali più belli ricevuti in questo 2010.
Read More “LOWLANDS: Gipsy Child”
Cheap Wine: Stay Alive
Un doppio LIVE è un lusso che pochi gruppi si possono permettere, soprattutto quando è composto da 19 brani originali su 21, è un testamento indelebile che resta nella storia di una rock band, pensiamo a Made in Japan dei Deep Purple o a Live at the Fillmore est degli Allman Brothers Band per citarne due a caso o al recente triplo Mullenium dei Gov’t Mule. Il doppio live, così come l’hanno concepito i Cheap Wine, è un monumento alla musica della band, è un opera coraggiosa e preziosissima dove è racchiusa tutta la loro storia dal 1997 al 2010, 13 anni costellati di grande musica, di straordinaria passione e di incrollabile tenacia, una musica che è cresciuta, mutata, cambiata ma che ad ascoltarla adesso, tutta d’un fiato, non risente degli anni sulle spalle e risulta granitica, un marchio di fabbrica di una band che dimostra di aver raggiunto una grande personalità, una propria identità, una di quelle che l’ascolti e dici… azz!! i Cheap Wine. In questo credo stia la grandezza e la bravura degli amici pesaresi, nell’essersi negli anni,creati un loro “sound” un imprinting musicale che li distingue dalla massa di band presenti in italia e diciamolo pure… nel mondo!
Read More “Cheap Wine: Stay Alive”
Jack Savoretti – Harder than easy
Ci sono giorni in cui canzoni come Map of the world possono riscaldare l’anima ed illuminare il cielo grigio, ci sono canzoni come quelle di questo Harder than easy che possono riempire giornate altrimenti sensa senso ci sono momenti nella vita nei quali dischi come questo sono necessari. Canzoni semplici giocate su chitarra, piano e voce, senza molte pretese ma così deliziose da far desiderare di riascoltarle all’infinito. L’anglo-svizzero Savoretti non aggiunge niente al panorama musicale, nulla di trascendentale dunque ma il suo disco porta nuovamente l’attenzione sul regno unito regalandoci 11 splendide e delicate ballate tra le quali spicca la rilettura di Nothern sky del grande Nick Drake e Mother dove attinge a piene mani dalla tradizione musicale statunitense con tanto di slide e armonica passando entrambe le prove egregiamente. Le note stonate vengono da una superdose di riverbero ed effetti sulla voce che avrei preferito più sapida ma così va perchè, pensando un paio di pezzi da inserire nelle air-play radiofoniche, occorre purtroppo una voce uniformata al resto… Insomma di questo Harder than Easy se ne può fare anche a meno ma basta ascoltarlo una volta per cadere nella tentazione di riascoltarlo, un solo passaggio di Patriot e vi sembrerà che la primavera sia sbocciata tutta intorno a voi!